Dubai, il rifugio dorato: affari e mazzette del boss dei Van Gogh

Dubai, il rifugio dorato: affari e mazzette del boss dei Van Gogh
di Leandro Del Gaudio
Domenica 12 Gennaio 2020, 00:30 - Ultimo agg. 14:42
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Ha soldi, tanti soldi, il boss del narcotraffico. Vive a Dubai e ha contatti che contano, decisivi e strategici, al punto tale da essere in grado di corrompere funzionari dello stato degli Emirati arabi, agenti dell’Interpol, per ottenere mano libera per sé e per i suoi. Parliamo di Raffaele Imperiale, il boss dei Van Gogh rubati ad Amsterdam e ritrovati a Castellammare, l’uomo che dal 2015 sta al sole di Dubai padrone dello scacchiere della droga, su una pianta geografica che abbraccia mezzo mondo. Si fa chiamare «pasta» - è il suo nickname - comunica solo attraverso un sistema operativo russo, controlla uomini, soldi e droga. Oggi il suo nome torna decisamente di attualità, grazie all’arresto di Bruno Carbone, suo braccio destro, bloccato alla dogana di Dubai lo scorso 20 dicembre con un documento falso, dopo essere stato per anni inseguito da almeno tre ordini di arresto spiccati da Napoli e da Catania. E sono le accuse rivolte al duo Imperiale-Carbone a svelare una trama di possibili corruzioni e omissioni, che hanno consentito ai broker del narcotraffico napoletano di stringere contatti in Ecuador e in Colombia, di investire in Olanda e nei paesi dell’Est europeo, per allestire una sorta di impero dorato in quel di Dubai.

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È la parola chiave, stando a un retroscena investigativo raccontato dal pentito Andrea Lollo, a proposito dei rapporti con la capitale tentacolare del medioriente. Fatto sta che quello dello scorso 20 dicembre non sembra sia stata la prima esperienza di arresto per Carbone. Anzi: già in un recente passato sarebbe stato ammanettato, sempre a Dubai, salvo poi essere rilasciato grazie a un intervento di Imperiale, capace - a detta del pentito - di corrompere agenti della Interpol con un patto tra gentiluomini: soldi in cambio della libertà di Carbone. E, stando al pentito, quelli della Interpol avrebbero concesso tre giorni al broker napoletano per lasciare gli Emirati. Ipotesi al vaglio degli inquirenti. Una pista battuta dalla Dda di Napoli, proprio alla luce delle dichiarazioni del pentito Lollo: «Due mesi fa (siamo nel 2017) Bruno Carbone si è recato a Dubai con un aereo privato e con documenti falsi per incontrare Raffaele Imperiale. Una volta giunto a Dubai venne arrestato perché l’Interpol rilevò che i documenti erano rubati. Di tale arresto venne informato qualcuno della zona dalla quale Carbone era partito, forse paesi dell’Est, che a sua volta avvisò Imperiale che si mosse in modo efficace. In sintesi - continua il pentito -, dopo aver appreso dell’avvenuto arresto, Imperiale intervenne presso l’Interpol, pagando una cifra rilevante. Fatto sta che vennero dati dall’Interpol tre giorni a Carbone, come termine per lasciare Dubai. Fu così che Carbone ripartì con un aereo privato verso i paesi dell’Est». 

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Quanto è credibile il racconto di Lollo? Al momento la Procura di Napoli sta confezionando una richiesta di estradizione per portare in Italia Carbone e per dare inizio a un rapporto collaborativo con gli Emirati. La speranza è di riportare in Italia anche Imperiale, a distanza di cinque anni dal blitz che lo vede latitante. Ma come ha fatto Imperiale a mantenere rapporti con il proprio retroterra di contatti? È ancora Lollo a raccontare gli espedienti usati dal potente narcotrafficante in esilio in Medioriente, chiamando in causa Massimo Liuzzi, indicato come collaboratore storico di Imperiale, assieme a Mario Cerrone. In sintesi, «i contatti li tenevano tramite dei “Blackberry” con programmi particolari per criptare le comunicazioni. I “Blackberry” venivano forniti da Liuzzi, che li riceveva da Imperiale, che si era fatto installare un programma dedicato a nome Sky; ora il programma è stato modificato e si chiama Indroid ed è di origine russa. I Blackberry sono stati consegnati da Imperiale ai vari broker che vendono per suo conto, tra cui anche io stesso». Un sistema che avrebbe consentito a Raffaele Imperiale di continuare a gestire i propri affari, a dispetto dell’ordine di arresto spiccato nel 2015 da Napoli e nonostante le richieste di estradizione che sono state avanzate dai governi italiani in questi cinque anni. Nessuna risposta da Dubai, dove Imperiale avrebbe controllato - in un gioco di tessere mondiali - il passaggio di navi cariche di droga. Inchiesta condotta dai pm Mariella Di Mauro (che si sta occupando dell’estradizione di Carbone) e dai pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra, a loro volta titolari delle indagini che hanno messo a nudo il sistema Imperiale-Cerrone e che hanno imposto ai broker arresti, sequestri e latitanza dorata lontano da Napoli. Una vicenda, quella dei rapporti tra la camorra napoletana e il mondo ovattato di Dubai, che viene seguita anche in questi giorni dal procuratore Gianni Melillo e dal capo della Dda Giuseppe Borrelli, nel tentativo di verificare l’attualità di investimenti dei clan all’ombra dei grattacieli della capitale degli Emirati. E ad aprire lame di luce sugli affari di Imperiale è sempre il suo ex braccio destro Lollo: «So che è stato di recente in Libano», alludendo alla sua capacità di movimento. E ancora: «Ha rapporti privilegiati in Ecuador e con i Colombiani, vanta crediti con i Colombiani, tanto da ripianare un debito di 160mila euro dello stesso Carbone». Un uomo bamcomat, un risolutore, un mediatore di alto profilo. 

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E per indicare il suo spessore economico, Lollo svela anche un altro retroscena: quello di cinque navi sbarcate nel 2017 nel porto di Napoli, navi provenienti da Panama, zeppe di droga.

Parola di un pentito che sta facendo luce - si spera - sui traffici telecomandati di droga, ma anche sulla libertà di manovra di Imperiale e dei suoi uomini: a proposito di aerei privati, finti documenti e via libera da parte delle autorità locali a colpi di mazzette. 

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