La guerra dei mini boss della droga: 110 clan terrorizzano il Napoletano

La guerra dei mini boss della droga: 110 clan terrorizzano il Napoletano
di Leandro Del Gaudio
Sabato 6 Febbraio 2016, 23:43
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Il fatto è che il processo penale non fa paura a nessuno, o meglio, fa paura solo agli innocenti, a quelli costretti a difendersi nel corso di lunghi e dispendiosi dibattimenti. Comincia da qui la nuova emergenza camorra a Napoli, quella raccontata dai numeri (110 clan tra Napoli e provincia), quella che torna ad allarmare anche il Viminale. Processi lunghi, armi spuntate, killer che festeggiano dopo sentenze di condanna a termine (anche trent’anni va bene, basta sfuggire alla mannaia del fine pena mai), che tanto non si scontano mai fino in fondo, grazie al regime di continuità tra un verdetto e l’altro.
È emergenza camorra, dunque: tre omicidi in un giorno, quasi una beffa per il ministro Angelino Alfano in visita a Napoli giovedì scorso. Killer diversi, stesse dinamiche criminali: giovedì notte al rione Don Guanella (omicidio di Giuseppe Calise, 24 anni) e a Bagnoli (ucciso Salvatore Zito, 21 anni); la notte tra venerdì e sabato a Marigliano (omicidio di Francesco Esposito, 33 anni). In pratica, tre omicidi in 26 ore, quasi una beffa per il capo del Viminale giunto a Napoli pochi giorni fa. Restiamo ai dati oggettivi: secondo fonti della Questura, dall’inizio del 2016 sono dieci gli omicidi consumati nell’area metropolitana napoletana, senza contare (sarebbe impossibile) le decine rappresaglie armate («stese» a colpi di pistola e kalashnikov) consumate ovunque ci sia da definire equilibri nella spartizione dei proventi di droga e racket. Scrivono gli analisti: a Napoli e provincia ci sono 110 clan in azione, che possono contare su 5mila affiliati (senza badare ai minori e agli under 14 non imputabili), in una guerra di posizione che si gioca per la conquista di un marciapiede, di una panchina, di un sottoscala, di un incrocio, di un balcone, insomma di una piccola o grande piazza di spaccio. Guerra per la droga, per lo smercio al minuto di hashish e cocaina, kobret ed eroina, che ogni anno viene importata a Napoli.
Ma torniamo alla cronaca di queste ore, rimaniamo all’ultimo omicidio: Francesco Esposito è stato ucciso poco dopo la mezzanotte tra venerdì e sabato, in via Pontecitra, isolato 9, con un colpo di pistola al torace. Era un personaggio noto alle forze dell’ordine per fatti di droga. Esposito aveva appena citofonato alla moglie per farsi aprire il portone e la donna - hanno appurato gli inquirenti - ha ascoltato il colpo di pistola che ha ucciso il marito, ma anche l’urlo soffocato - un misto di dolore e disperazione - della vittima numero dieci dall’inizio dell’anno. Ucciso per fatti di droga, in una zona da dieci anni enclave del clan Mazzarella, egemone a San Giovanni a Teduccio e in altre zone di Napoli. In passato, da queste parti, ci fu una faida tra i Mazzarella e i Castaldo, probabile che anche l’omicidio Esposito rientri in questa logica. Particolarmente confuso lo scenario dell’area occidentale di Napoli, dove tra giovedì e venerdì notte hanno ammazzato Salvatore Zito. Pochi dubbi, per il momento: indagini sul gruppo di Alessandro Giannelli, un 37enne latitante per una estorsione consumata a Pianura. Schegge impazzite all’indomani della crisi del cartello che faceva capo a Domenico D’Ausilio, alle prese con una condanna in primo grado per associazione camorristica, mentre nell’intera periferia occidentale sono almeno dieci le famiglie che reclamano autonomia criminale.
Chiaro anche lo scenario criminale dove è maturato il delitto di Giuseppe Calise, il 24enne ammazzato a poche ore dagli annunci resi nel corso dell’ultima sortita napoletana di Alfano. Era riconducibile al clan Lo Russo, il 24enne ucciso giovedì scorso, ed era migrato in zona Don Guanella, un rione tradizionalmente riconducibile al clan Licciardi. Un trasferimento che potrebbe essere risultato fatale, in un braccio di ferro tra i Lo Russo e i Licciardi, sempre e comunque per la gestione della droga. Già, la droga, il primo motore dell’economia criminale, che produce soldi da riciclare e attività apparentemente pulite. Stando a una recente inchiesta della Dda di Napoli (l’aggiunto Filippo Beatrice, i pm Castaldi, De Marco, Marra), il gruppo Cerrone-Imperiale (costola degli scissionisti di Secondigliano) ogni anno per decenni ha bancato un carico da undici milioni di euro di cocaina. Era il sistema delle quote e delle puntate messe nero su bianco, come ai tempi delle spedizioni coloniali: pochi soggetti trattano la coca con gli spagnoli e si assumono il rischio di portarla in Campania, mentre gli altri clan puntano e stanno ad attendere. Un affare che ha consentito a tale Raffaele Imperiale di creare una sorta di impero immobiliare a Dubai. Come ha fatto? A Napoli, per dieci anni, i capoclan si ammazzavano in faide e controfaide, incassando sequestri e processi, mentre lui - dicono i pm - riciclava lì. E in questi giorni sono arrivate le conferme: censite dieci villette a Dubai, costruite da un architetto libanese, per un valore di venti milioni ciascuna.
E torniamo a Napoli. Cosa ha consentito al fenomeno camorristico di non subire flessioni negli ultimi venti anni? Perché dopo migliaia di arresti e confische, dopo centinaia di processi, lo scenario si ricompone offrendo sempre le stesse logiche criminali? Qualche esempio per far capire che in fondo i processi da queste parti non rappresentano un valido deterrente: nel 2011, la Dda mette a segno un colpo da novanta, arrestando tutti i presunti vertici del clan D’Amico, che da San Giovanni a Ponticelli stavano occupando i vuoti lasciati dai Sarno. Un blitz che fa notizia per le scene del bacio sulla bocca dei suoi affiliati prima degli arresti, che mette in mostra al Paese intero la devozione degli affiliati ai propri capi. Quindi? In pochi anni, in attesa di una sentenza di primo grado gli imputati vengono scarcerati per decorrenza dei termini, mentre la prossima udienza è stata aggiornata al 29 settembre. Tra sette mesi. Scrive il presidente del Tribunale di Napoli Ettore Ferrara, a proposito di organici ridotti: oggi si viaggia con 319 magistrati, a fronte dei 348 precedenti; su 884 impiegati previsti in pianta organica ce ne sono 603; su 318 cancellieri, 54 sono esentati dall’assistenza all’udienza. Ce n’è abbastanza per capire perché i processi (lenti e in ritardo), alla fine spaventano solo chi è innocente.

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