Una tassa Ue per aiutare ​i Paesi membri

di Giuseppe Vegas
Domenica 1 Ottobre 2023, 00:00
4 Minuti di Lettura

Sarà anche grazie all’avvicinarsi delle prossime elezioni europee, ma ci si va mano mano rendendo sempre più conto che il nostro futuro non può essere disgiunto da quello dell’Europa. D’altra parte, il livello del confronto tra popoli e paesi, unito all’ampiezza continentale delle sfere di influenza economiche rende ormai irrisoria la dimensione statale. Gli stati nazionali sono un’invenzione tutto sommato recente e non è detto che siano destinati a durare per sempre. Il futuro del mondo come lo abbiamo pensato nel passato è ancora da definire e la dimensione globale dei rapporti internazionali richiede l’utilizzo di risorse economiche sempre crescenti. 

In considerazione di questa nuova realtà, l’opinione pubblica va chiedendo una più incisiva azione da parte di un livello istituzionale più organizzato e di dimensioni adeguate rispetto al confronto in corso. Per quanto ci riguarda, questo livello non può che essere rappresentato dall’Unione europea. E proprio le prossime elezioni costituiscono l’occasione per una riflessione sul suo ruolo e sul suo funzionamento. In realtà, già a seguito della pandemia, prima, e poi della guerra, si è notato un cambio di passo. I suoi interventi sono stati tempestivi rispetto allo svolgersi degli eventi e le decisioni più rapide. La presenza dell’istituzione europea, plasticamente manifestata dalla combattività della sua presidente, non ha avuto pari rispetto al passato. Gli interventi economici hanno prodotto, o sono stati progettati per produrre, effetti importanti in tutti i paesi partecipanti. Si è persino sospeso il Patto di stabilità e si è creato una sorta di debito comune per finanziare il programma Next Generation Ue, il nostro Pnrr.

Insomma, pur non senza critiche circa l’eccessiva invadenza europea su molti affari interni dei singoli paesi, va maturando il desiderio di una Europa più forte, che sia in grado di risolvere i problemi che gli Stati non sono in grado di affrontare da soli, come ad esempio quelli dell’immigrazione e della transizione ambientale. Tuttavia, ci si rende conto che risulta assai difficile far fronte alla domanda di crescenti e assai gravosi impegni, in mancanza di risorse adeguate. Occorre dunque essere molto chiari sulla questione.

Il bilancio dell’Unione per il 2023 risulta fissato in 186,6 miliardi. Cifra di per sé non particolarmente elevata, ma di dimensione irrisoria, se si tiene conto che equivale a poco più dell’uno per cento del Pil complessivo dei paesi europei, stimato nel 2021 in circa 14.500 miliardi. Malgrado questa evidente scarsità, sono in molti a chiedere un maggiore impegno finanziario. Ma, nelle condizioni attuali, si tratta di una richiesta irricevibile.

Ecco allora che va facendosi strada la proposta di utilizzare nuove risorse europee aggiuntive, che altro non sarebbero se non una vera e propria imposta europea.

Via possibile, ma alquanto ardua da percorrere.

Si deve tenere presente, infatti, che sino ad oggi l’Unione non dispone di entrate proprie nel vero senso della parola. Certo una quota dell’Iva riscossa dai singoli paesi è di pertinenza europea e ciascuno Stato versa all’Unione una somma calcolata in ragione percentuale rispetto all’entità del suo prodotto interno lordo. Quindi, anche quando nominalmente le entrate europee sono definite come proprie, si tratta pur sempre di entrate derivate da quelle percepite dai singoli paesi.

L’istituzione di una vera imposta europea costituirebbe dunque una novità di assoluto rilievo. In primo luogo, perché bisognerebbe decidere quali sarebbero i soggetti titolari della riscossione dell’imposta in questione. Secondariamente, occorrerebbe anche definire una base imponibile diversa da quella delle imposte proprie di ciascuna realtà nazionale. Tema assai arduo, in ragione del fatto che i singoli paesi tassano praticamente tutto l’esistente ed è pressoché impossibile trovare qualcosa di nuovo. Invero, si sta discutendo di una possibile imposta sulle transazioni effettuate in Europa dalle grandi imprese tecnologiche multinazionali, colpendo gli immensi guadagni che ne derivano. Ma il progetto sembrerebbe ad oggi limitato solo a consentire l’applicazione di un livello di tassazione comune da parte di tutti i paesi.
In sostanza, non si sa dove andare a prendere i soldi. Tuttavia, il problema di maggiore rilievo è quello relativo al fatto che alla fine il denaro viene sempre estratto dalle tasche dei contribuenti europei, che già, rispetto ai loro fortunati omologhi del resto del mondo, versano in media all’erario addirittura il 42 per cento circa delle loro entrate. Sarebbe difficile chiedere loro di più senza far esplodere un sentimento di ostilità nei confronti dell’Europa.

Per risolvere il problema non c’è altra soluzione se non quella di attribuire direttamente all’Unione le funzioni attualmente esercitate dagli Stati. Dato che questi ultimi non dispongono, anche nei casi migliori, di una massa di risorse adeguata per fornire una risposta corrispondente alla gravità della situazione: è il caso, ad esempio, della difesa e della trasformazione tecnologica. Ma, con le funzioni, non potranno non essere attribuite anche le relative risorse finanziarie. Che, anche se saranno reperite attraverso una nuova tassa europea, comunque dovranno sostituire le imposte percepite oggi dai singoli Stati per l’esercizio di quelle stesse funzioni. Ovviamente anche il trasferimento dovrà includere le persone e gli strumenti attualmente utilizzati a livello nazionale.

Si tratterebbe di una rivoluzione copernicana nel nostro modo di intendere la politica e un passo avanti fondamentale nel consolidamento di una vera Europa Unita. Fantascienza? Forse. Scelta saggia? Meglio.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA