Flick: «La politica debole genera malaffare»

di Maria Paola Milanesio
Venerdì 12 Dicembre 2014, 23:40
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Professore Giovanni Maria Flick, perché di fronte a uno scandalo la politica sembra capace di percorrere solo la strada della repressione e mai quella della prevenzione?



«La politica manca di tempismo: il sistema del nostro Paese non è in grado di mettere nel giusto equilibrio il momento in cui deve intervenire la magistratura. La conseguenza è che o interviene troppo tardi - la corruzione è già commessa o il reato rischia la prescrizione - oppure troppo presto, e si affida al magistrato di turno il controllo degli appalti o l’assessorato alla legalità».



È la constatazione amara che Tangentopoli non ha insegnato niente.



«Quando si sono chiuse le inchieste di Mani pulite, ci si è resi conto che la repressione da sola non bastava. Non si può affidare la cura unicamente alla giustizia, perché la giustizia in Italia non funziona; perché i processi sono senza fine; e perché spesso la loro conclusione più naturale è la prescrizione, tanto più dopo che la legge ex Cirielli ne ha ridotto i termini. Solo due anni fa il tentativo di una sterzata, con la legge Severino».



Perché parla di tentativo? Sembra di capire che è fallito.



«La legge ha due facce: nella parte relativa alla prevenzione dei reati è troppo burocratica; nella parte relativa alla repressione distingue tra il reato di corruzione per induzione e di concussione per costrizione. Un aspetto che ha finito per complicare le cose e che ora il governo sembra voler superare aumentando le pene».



Ancora non si conosce nel dettaglio il testo anti-corrotti, ma il premier Matteo Renzi ha promesso pene più pesanti e più tempo per fare i processi. Suona come una resa della politica: non sapendo come prevenire il malaffare, mi affido ancora una volta ai magistrati.



«È vero: l’iniziativa del governo può essere interpretata come una resa, come la difficoltà della politica a prevenire la corruzione prima che si verifichi. Detto questo, l’intervento sulla prescrizione è quanto mai necessario, ma attenzione all’aumento delle pene: non basta minacciare la mano pesante se poi la pena non è applicata. Apprezzo il rimedio del patteggiamento solo nei casi di completa confessione e restituzione del maltolto, e anche la diminuzione di pena per chi collabora».



Per corrotti e corruttori non è preferibile una condanna "socialmente" rilevante più che il carcere?



«La famosa interdizione dai pubblici uffici già esiste ma raramente si riesce ad applicarla. "Beccare" i colpevoli è difficile e la prescrizione fa il resto».



Renzi non esclude la fiducia sul testo anti-corrotti. Scelta giusta?



«Preannunciare l’eventuale fiducia mi sembra l’unico mezzo per evitare che la discussione in Parlamento si impantani come è accaduto troppo spesso».



Nel ’96 lei era ministro della Giustizia e propose la "pena concordata" come uscita da Tangentopoli. Che fine ha fatto?



«La mia proposta era il Daspo: confessa, restituisci e levati dai piedi. Venne bocciata per fare i processi che poi si prescrissero».



Il suo "levati dai piedi" era per sempre?



«L’interdizione deve essere molto lunga. Mi preoccupa, infatti, vedere ricomparire - nelle inchieste sugli appalti Expo - alcuni dei personaggi già protagonisti di Tangentopoli».



Prevenire il malaffare è così difficile?



«No, importante è volerlo. Semplificazione delle leggi, uso delle tecnologie per ottenere piena trasparenza, premi a chi collabora. Insomma, basterebbe usare per le indagini sulla corruzione gli stessi metodi previsti per la mafia. Tra criminalità organizzata, corruzione e criminalità economica c’è un triangolo delle Bermude dove affonda la legalità».



Lo scandalo di Roma è il più grave, almeno finora?



«Non faccio graduatorie, potrei essere smentito il giorno successivo. Non so se quanto accaduto nella Capitale sia riconducibile a una mafia di tipo classico o più casareccio, i coatti di periferia. Lo accerterà la magistratura. Constato, però, che si tende o a presentarla come un fenomeno di delinquenza comune, non mafiosa, attenuandone la pericolosità; o a dire che è tutto mafia, dimenticando che i corrotti non sembrano appartenere alla categoria vera e propria della criminalità organizzata».



Vede un diverso rapporto tra criminalità e potere politico?



«Intanto, evitiamo di trasformare questa vicenda nell’ennesimo scontro tra parti politiche: la destra che accusa la sinistra e viceversa. Qui, mi pare, il vero problema era ricomprarsi i referenti politici nel momento in cui cambiava la giunta. Detto questo, va sottolineato l’effetto pesante che la vicenda avrà sul mondo della cooperazione; da quando è nato - più di 150 anni fa - si parla di cooperative false, sorte per godere di vantaggi fiscali e sovvenzioni. Ma la cooperazione è caratterizzata dalla mutualità, non deve avere scopo di lucro. Doveva essere una terza via per superare l’alternativa molto italiana che vuole che una cosa pubblica non funzioni e una privata miri solo al profitto. Si è rovinato anche questo».



C’è un problema di selezione di classe politica?



«Non entro nel merito della qualità dei politici: ogni Paese ha la classe politica che si merita e i politici rispecchiano il Paese. Penso che molto si potrebbe fare nel mondo della cooperazione: anagrafe patrimoniale dei dirigenti, rotazione degli incarichi, controlli dal basso».



Roma va commissariata?



«È una decisione che spetta al Prefetto e al ministro dell’Interno. Anni fa si diceva "Capitale corrotta, nazione infetta". Non è difficile immaginare che cosa pensi - in queste circostanze - chi vuole investire in Italia, o quali siano i giudizi delle agenzie di rating. Commissariare Roma significherebbe commissariare l’Italia intera».