Sblocco licenziamenti: 100mila lavoratori a rischio al Sud, 30mila in Campania

Sblocco licenziamenti: 100mila lavoratori a rischio al Sud, 30mila in Campania
di Nando Santonastaso
Mercoledì 26 Maggio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 18:45
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Commesse di piccoli negozi soprattutto di abbigliamento, dipendenti di microimprese anche artigianali (lavanderie, ad esempio), lavoratori stagionali del turismo. Ma anche operai dell’edilizia, e tute blu o bianche di pmi industriali in crisi già prima che esplodesse la pandemia. Sarebbero più di centomila i possibili licenziamenti nel Mezzogiorno, poco meno di un quarto del totale indicato ieri dal leader della Cisl, Sbarra, a proposito dal potenziale impatto sociale provocato dallo sblocco dei licenziamenti. Meno numerosi rispetto al totale ma, come sempre accade nel Sud, decisamente più dolorosi considerata la ben più fragile struttura del sistema produttivo. Lo si era già evidenziato all’indomani delle prime previsioni sulle conseguenze della crisi sanitaria ed occupazionale innescata dal Covid-19. La Svimez, nei mesi del lockdown 2020, aveva calcolato che nel Mezzogiorno i rischi di ripartenza per le imprese, pur essendo meno numerose rispetto alle aree del Nord del Paese, andavano moltiplicati per quattro, in conseguenza della storica fragilità economica dei territori meridionali. Allora si erano calcolati in un range compreso tra 600 e 800 mila unità i lavoratori che avrebbero potuto restare al palo anche dopo la fine dell’emergenza, comprendendo in quella cifra anche la fortissima quota di lavoratori del sommerso e di coloro che non erano più rientrati in attività dopo le crisi del 2008 e del 2011-12. Nessuno ha mai smentito quell’indicazione e oggi che sul tappeto è arrivato il nodo dei licenziamenti, quei numeri tornano di attualità pur nell’oggettiva difficoltà di quantificarli con una buona dose di approssimazione. 

«Il prezzo più caro in termini occupazionali e dunque sociali toccherà con tutta probabilità alle micro e piccole imprese commerciali e in particolare del turismo, il settore sicuramente più danneggiato dalla pandemia – conferma l’economista Salvio Capasso di Srm, la Società di studi e ricerche del Mezzogiorno diretta da Massimo Deandreis e collegata al gruppo Intesa Sanpaolo -.

E parliamo di lavoratori che sono stati aiutati in questi durissimi mesi di chiusura dai sussidi garantiti dallo Stato e dalla Cassa integrazione ordinaria per Covid. Era già stato difficile riportarli per così dire alla superficie considerata la precarietà lavorativa nella quale si trovavano anche prima del Covid. E ora il loro futuro sembra ancora più complicato, visto che molte delle piccole o piccolissime imprese di riferimento avranno enorme difficoltà a ripartire. Non è un mistero che ci sia un problema di liquidità irrisolto: si fa fatica a reperire anche 7-8mila euro per riprendere l’attività e il sistema degli usurai è dietro l’angolo».

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Più di 30mila i possibili licenziamenti nella sola Campania, la regione che a livello industriale ed economico è sicuramente la prima del Sud. «Ed in questa cifra, che probabilmente è approssimata per difetto, ci sono le migliaia di lavoratori di industrie che siamo riusciti a tutelare solo attraverso la Cassa integrazione Covid, evitando scenari altrimenti inimmaginabili», dice Giovanni Sgambati, segretario regionale della Uil Campania. E aggiunge: «Così la bomba sociale rischia di esplodere ed è quanto ho ribadito nel mio breve saluto al neo presidente di Confindustria Campania, Traettino, insediatosi proprio ieri. Oltre tutto parliamo di una massa di lavoratori non sindacalizzati, soprattutto perché occupati in microimprese, e dunque nemmeno tutelati dalle nostre scelte associative. Ricordo a Confindustria che il Covid non è affatto terminato e che non si può immaginare di licenziare senza almeno avviare la necessaria riforma degli ammortizzatori sociali».

Lavori e lavoretti, contrattualizzati e non. La crisi che rischia di spazzare via una parte del microcosmo produttivo meridionale non risparmierà nemmeno la logistica, il manifatturiero, le subforniture e anche le subforniture di secondo grado che al Sud fanno buoni numeri in termini di fatturato. Ma, come detto, le incognite riguardano anche l’edilizia, ancora non pienamente coinvolta dalla svolta del superbonus al 110%. Per un settore che rappresenta solo in Campania l’8,7% del Pil regionale, e quasi il 30% del totale degli occupati dell’industria, le prospettive a breve e medio termine restano incerte come sarà sottolineato anche domani nel corso del webinar organizzato dall’Acen di Napoli sugli «Scenari regionali dell’edilizia per la Campania» elaborati dal Centro studi dell’Ance in collaborazione con Prometeia. Un motivo in più, sottolinea Doriana Buonavita, segretaria regionale della Cisl, di trovare con il sistema delle imprese una linea comune per non disperdere quello che c’è: «Non è il momento dei distinguo. Occorre investire in formazione, ricerca, innovazione e produttività mantenendo il già precario contingente di lavoratori», e senza trascurare le aree interne «ormai desertificate», dice la sindacalista campana.

Il fatto è che non c’è più tempo da perdere perché la mazzata dei licenziamenti finirà per contrarre ancora di più la già modestissima propensione ai consumi emersa al Sud in questi mesi. Dall’ultima indagine dell’Osservatorio di Confimprese-EY emerge infatti che ad aprile 2021 «l’area peggiore per i consumi nei settori ristorazione, abbigliamento e non-food è il Sud con un calo del 65,7% rispetto al 2019», con la Sardegna ultima in assoluto tra le regioni (meno 79,4%) e la Puglia subito dietro. 
 

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