Le condizioni per il ritorno dello Stato nelle imprese

di Giorgio La Malfa
Mercoledì 8 Luglio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 9 Luglio, 07:00
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Dalle grandi crisi economiche degli ultimi cento anni moltissimi Paesi sono usciti attraverso l’intervento pubblico: non solo con spese ingenti in opere pubbliche, ma anche con la partecipazione dello Stato nel capitale delle banche e delle imprese. Lo hanno fatto paesi ideologicamente liberisti, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e paesi rigoristi in tema di finanza pubblica come la Germania. Vediamo il New Deal di Roosevelt, con cui gli Stati Uniti negli anni ‘30 del Novecento superarono il crollo di Wall Street del ’29.

Esso comprendeva una politica di grandi opere pubbliche come quelle messe in campo dalla Tennessee Valley Authority, ma anche l’acquisto di imprese industriali da rimettere in sesto che dopo qualche anno vennero cedute nuovamente al mercato. Lo stesso è avvenuto dopo la grande crisi del 2008 superata grazie a un programma straordinario di investimenti pubblici e all’acquisto di quote del capitale di banche e di imprese. Anche in Europa, dopo il 2008, gli Stati sono entrati nel capitale delle banche per rimetterle in sesto e poi cederle nuovamente al mercato, dove questo è stato possibile. 

Altri casi di estesi interventi dello Stato vi sono stati nel secondo dopoguerra nella fase della ricostruzione. In tempi più vicini, dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 la riunificazione della Germania ha costretto la Repubblica federale a farsi carico dell’economia dei lander dell’Est. Oltre a una gigantesca spesa nelle infrastrutture, venne allora istituito un ente pubblico che rilevò le imprese industriali, cercò con grandi oneri di rimetterle in sesto e, laddove riuscì, le cedette sul mercato. 

La crisi prodotta dal coronavirus, pur se diversa nella sua determinazione dalle crisi economiche del passato, è più grave quantitativamente di quella del 1929 o del 2008. Non c’è quindi alcuna ragione di principio per la quale si debba escludere un intervento diretto dello Stato come strumento straordinario per fare ripartire le economie dopo le grandi crisi e questo intervento può assumere sia la forma delle spese di investimento in opere pubbliche, sia la partecipazione diretta al capitale delle banche e delle imprese.
Vale per tutti i Paesi, ma ovviamente vale anche per l’Italia che del resto ha sperimentato un vasto intervento pubblico fra le due guerre e nel secondo dopoguerra che ha contribuito alla grande trasformazione dell’economia italiana negli anni del miracolo economico. 

Due sono stati gli strumenti della grande rivoluzione economica avvenuta nel nostro Paese: l’Iri e la Cassa per il Mezzogiorno. L’Iri nasce nel 1933 quando la crisi partita nel 1929 negli Stati Uniti si trasferisce in Europa e travolge banche e grandi imprese. Lo Stato rileva attraverso un ente pubblico creato per decreto-legge i pacchetti azionari di un numero molto elevato di grandi imprese industriali allora detenuti dalle banche e avvia un programma di risanamento delle une e delle altre. Cerca negli anni successivi di retrocedere parte delle grandi imprese agli industriali privati, ma senza successo, ma non riuscendovi per la scarsa volontà di questi di impegnare i propri capitali in imprese rischiose, si acconcia a gestire la siderurgia, molta parte della meccanica, la telefonia, alcune imprese di opere pubbliche (che poi costruiranno in pochi anni la grande rete autostradale italiana). Lo fa in maniera così efficiente che questi settori divengono parte del miracolo economico. Nel dopoguerra nasce la Cassa del Mezzogiorno sul modello della Tennessee Valley Authority ed è il canale attraverso il quale affluiscono capitali all’Italia della Banca mondiale per lo sviluppo delle nostre infrastrutture.

Dunque ci sono precedenti positivi per l’intervento pubblico che possono essere utilizzati e che anzi bisognerebbe riutilizzare adattandoli alle situazioni attuali senza pregiudizi ideologici. E tuttavia nel farlo bisognerebbe anche riflettere a fondo su ciò che garantì il successo in quegli lontani dell’Iri e della Cassa per il Mezzogiorno. La ricetta fu il rigore delle scelte, la qualità assoluta del management e la garanzia della sua indipendenza dalle interferenze del potere politico. 

Non si può pensare che senza quelle condizioni l’intervento dello Stato sarebbe stato un successo. Si può riprendere in mano le fila di quella esperienza a condizione però che gli attuali detentori dei poteri di governo sia in grado di assicurare le stesse condizioni che consentirono allora il successo di quella azione dello Stato. Ci sono i Beneduce, i Menichella, i Giordani, i Mattioli per guidare l’intervento pubblico e i De Gasperi, i Vanoni, gli Einaudi per accompagnarli in questo sforzo? L’intervento dello Stato può essere la risposta ai nostri problemi, ma a patto che sia accompagnato da quelle condizioni – autonomia dei manager, rigore delle scelte, rinunzia alle inframettenze politiche – che furono la chiave del miracolo italiano.
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