M5S, Grillo e Conte: il partito personale ha un solo padrone

di Mauro Calise
Lunedì 28 Giugno 2021, 00:00
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Che fosse una missione difficile, Conte l’aveva capito. In realtà, era impossibile. E il professore, seppure a malincuore, ne sta prendendo atto. Le toppe che fino all’ultimo proveranno a metterci non cambiano il dato strutturale: non si può personalizzare un partito personale. I cinquestelle appartengono al genus più diffuso nel mondo politico. Inventato da Silvio Berlusconi – grazie alla geniale intuizione di Giuliano Urbani – il partito di proprietà del suo leader si è diffuso in Occidente e in Oriente, con una vastissima casistica.

La peculiarità dei cinquestelle, era di nascere da un giano bifronte – Grillo e Gianroberto Casaleggio – che è riuscito a sopravvivere – male – alla scomparsa di uno dei demiurghi. Ma l’altro era vivo e vegeto. E Conte si è sbagliato a fidarsi delle sue intenzioni dichiarate. Separarsi dalla propria creatura – anche e soprattutto in politica – è un atto contro natura. E il comico, piuttosto che suicidarsi, si è prodotto in uno sberleffo.

Alla luce di questa logica inflessibile, il professore sbaglierebbe a cedere alle blandizie che – comprensibilmente – gli oligarchi grillini continueranno a profondere, anche in buona fede. Grillo – volente o nolente – è come lo scorpione di Esopo, e – prima o poi – tornerebbe a mordere il nocchiero che prova a salvarlo. Il vero interrogativo e se Conte ha – oggi – altre frecce al proprio arco. Se avesse tentato subito – appena defenestrato da Draghi – di formare un proprio partito, i cinquestelle più ortodossi l’avrebbero accusato di alto tradimento.

Ma sono gli stessi che oggi plaudono alla ribellione di Grillo. Forse, numericamente, avrebbe avuto un seguito più esiguo. Ma non si sarebbe arravogliato nella disputa notarile con Casaleggio, dando invece – immediatamente – il segnale di una nuova impresa. Quelle che predilige l’elettorato volatile e superficiale dei nostri tempi. Anche perché, cinque mesi fa, l’avvocato del popolo era all’apice del suo gradimento che, oggi, si è inevitabilmente assottigliato.

È probabile che nel tentare la mission impossible di disarcionare Grillo con il suo consenso, Conte sia stato animato dal sincero tentativo di non disperdere l’eredità dei cinquestelle.

Ma si sa che le buone intenzioni – in politica – in genere portano male. E oggi i cocci non sono neanche suoi. Per sapere se e cosa gli appartiene di questo viaggio – alquanto altalenante – in compagnia delle truppe grilline, bisognerà aspettare che si stemperi il clima infuocato di queste giornate. Se Conte pensa di rispolverare l’ipotesi di un proprio partito, dovrà attendere le amministrative. Quando, molto probabilmente, la rotta dei cinquestelle apparirà in tutta la sua evidenza, e gravità. Nel frattempo, però, due risultati sono già irreparabilmente sulla scena. 

Il primo è il naufragio plateale dell’asse con il Pd. Se Letta si era assunto un bel rischio nel fidarsi dell’alleanza di un movimento rifondato da Conte, con il fantasma riesumato da Grillo non saprebbe cosa e come fare. Per il centrosinistra è una batosta che rischia di comprometterne il futuro. E le conseguenze immediate si vedranno nella ripresa degli scontri interni ai democratici, dove per qualche mese c’era stata una prova di tregua. L’altro risultato riguarda la tenuta del governo Draghi. Il premier non ha certo da temere dai ranghi dei cinquestelle, oggi in preda alla confusione se non alla disperazione. Ma, nel vedere l’avversario squagliarsi, il centrodestra affilerà le sue armi. E farà di tutto per andare quanto prima possibile al voto. Se l’estate, come tutti si augurano, ci porterà un po’ di ripresa, e se in autunno – come continuiamo a sperare – non ci sarà una ripresa del virus, il paese potrebbe finalmente tirare un sospiro di sollievo. Ma per i leader a caccia di potere, sarebbero le condizioni migliori per scatenare una controffensiva. 

Se invece l’emergenza sanitaria dovesse – sciaguratamente – protrarsi, torneremmo in quel limbo in cui sovrano è chi ha il bastone della decisione. Sono certo che, in cuor suo, Mario Draghi preferirebbe il primo scenario. Ma non dipende da lui. 

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