L'Oro del Pibe: quei tour nei luoghi della memoria

di Antonio Menna
Mercoledì 2 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:07
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Ho fatto un sogno: che una comitiva di turisti argentini, amanti del calcio, arrivasse allo stadio Diego Armando Maradona e trovasse un percorso organizzato per visitare i luoghi di Diego, il suo posto dello spogliatoio, l’immagine sacra dove faceva il segno della croce prima di entrare in partita, il lettino dove veniva massaggiato, la scaletta mitica che lo portava in campo, quella dove fece i primi passi tra una marea di fotografi; il tutto magari attraversando un corridoio “fotografico” con le sue immagini più belle, con sale dove proiettare i suoi gol più importanti o le sue interviste, per poi arrivare al museo dei cimeli, quel catalogo di sciarpe, poster, foto, ricordi che i tifosi napoletani hanno lasciato spontaneamente all’esterno dell’impianto di Fuorigrotta, facendone un mausoleo istintivo. 

Ho sognato, insomma, che lo stadio Maradona diventasse quello che è lo Stamford Bridge per Londra, dove i turisti possono prenotare un biglietto unico per il tour al campo (un’ora di giro, con ingresso negli spogliatoi, e nel tunnel per accedere al rettangolo di gioco) e per la visita al Museo del Chelsea. Una esperienza che viene “venduta” come “divertente, istruttiva e indimenticabile per gli appassionati di calcio di tutte le età e di tutto il mondo”. Ovviamente sono in mostra anche i trofei, le maglie e le immagini dei calciatori più rappresentativi della storia del club. C’è un altarino per Gianfranco Zola. Figuriamoci se avessero avuto il Dio del calcio. Ma noi ce l’abbiamo avuto, e allora il sogno è che oltre a farne re dei nostri cuori, riusciamo magari a farne progetto di identità. Una cosa così ce l’hanno anche a Madrid, dove esiste da anni il Tour Bernabéu, che porta i visitatori nel palco autorità, nel palco presidenziale; negli spogliatoi, sul terreno di gioco, e perfino in panchina. E non manca il museo con trofei, magliette, palloni, foto, display interattivi. Lo fanno loro, perché noi no? Ma non c’è solo lo stadio. C’è il centro Paradiso, di Soccavo, che si trova in condizioni disarmanti, come ben documenta sulle nostre pagine Paolo Barbuto, e che era il vero “paradiso” di Diego. 

Anche quel centro sportivo andrebbe recuperato e inserito nel sogno. Gruppi di turisti, o magari scuole calcio, allievi, ragazzi, che vanno a visitare i luoghi dove si allenava “D10S”.

E il sogno continua con Via Scipione Capece, la celebre casa posillipina di Maradona, il garage dove si allenava da solo, l’appartamento con le balconate: lì potrebbe esserci un museo personale del grande campione. I suoi ricordi, i suoi cimeli, i suoi oggetti, in qualche modo la riproduzione dei suoi luoghi. E poi il tour dei murales, soprattutto quello dei Quartieri, dove è spuntato un altro mausoleo della memoria. Non per paragonare il sacro al profano ma è quello che accade da decenni nei luoghi dei pellegrinaggi religiosi, come le città di padre Pio, Pietrelcina e San Giovanni Rotondo. O, più prosaicamente, come già si è già visto in piccolo a Napoli, coi tour sui luoghi dell’Amica geniale di Elena Ferrante. Il sogno (“e quello perciò è un sogno”, direbbe Luciano De Crescenzo) prevede anche si siedano intorno a un tavolo le massime istituzioni politiche e sportive, da De Luca a De Laurentiis al sindaco, e lo organizzino davvero questo Grande progetto Maradona. Il turismo ha bisogno di tipicità e unicità. Prima o poi il Covid finirà, torneremo a spostarci da una parte all’altra del mondo. Forse addirittura con più voglia e più “fame”.

Cosa cercheremo? Pezzi unici. Cose che ci sono solo lì. Diego Armando Maradona è un pezzo unico. Lo ha avuto, nel suo periodo più grande, Napoli. E Napoli lo ha abbracciato dal primo all’ultimo giorno. Ora, al di là dell’economia parassitaria del marciapiede che ne fa icona su bandiere e foulard, il campione argentino potrebbe diventare un elemento riconoscibile del “carattere” della città. E potrebbe ispirare una economia vera del turismo mirato sul suo nome, sulla sua epopea. Per farlo non ci vuole molto. Abbiamo il mito. Abbiamo i luoghi. Abbiamo una capacità di unità sull’ammirazione per questo calciatore che non siamo quasi mai riusciti ad avere su altro. Cosa manca? Forse la capacità di sognare, e poi di progettare. Si può fare, non bisogna essere fenomeni per riuscirci. Il fenomeno era Diego, che potrebbe fare la fortuna di Napoli oggi più di ieri, e rendere ancora più eterno il suo rapporto con questa città.

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