Napoli, al Vasto una famiglia «sfrattata» dal boss dalla casa comunale

Napoli, al Vasto una famiglia «sfrattata» dal boss dalla casa comunale
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 30 Gennaio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 31 Gennaio, 08:30
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Minacce ai parenti di un pentito, per indurlo a ritrattare. Ma anche estorsioni a cittadini, imprenditori costretti a rinunciare alle loro attività pur di pagare il «pizzo», con tangenti da dieci o ventimila euro. 

Sono le accuse che hanno spinto il gip Saverio Vertuccio a firmare quattro ordini di arresto in carcere, alla luce di quanto emerge dal racconto dei familiari del pentito, ma anche dalla testimonianza di un imprenditore che si è affidato all’associazione antiracket di Tano Grasso. 

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Ordine di arresto per Alfredo De Feo, presunto boss del clan Contini, assieme a Nicola Botta; per Massimo Fiorentino e Giovanni Rubino. Ma partiamo dalle minacce per zittire il pentito. Tutto avviene all’interno dello stesso gruppo familiare, quello di Alfredo De Feo, che non esita a picchiare alcuni parenti, pur di aver notizie sulla località protetta in cui è nascosto il nipote (figlio della sorella) Vincenzo De Feo. In un caso, un intero nucleo familiare è stato allontanato dal rione Amicizia, bunker del clan Contini, con un intervento da parte del boss che ha preteso le chiavi di casa. Una sorta di esproprio, che ha riguardato un’abitazione comunale, uno dei tanti beni gestito dalla camorra padrona del territorio, nell’indifferenza (o nell’impotenza) delle istituzioni cittadine. Ma in cosa sono consistite le minacce? Indagini condotte dai pm Alessandra Converso, Maria Sepe e Ida Teresi, si va dal 2014 al 2018, un arco di tempo in cui ci sarebbero state diverse intimidazioni: «Ti faccio fare la stessa fine del datore di lavoro», dice il boss dopo aver fermato in strada una donna ritenuta colpevole di non rivelare la località protetta del pentito. Chiaro riferimento - secondo la ricostruzione della Dda di Napoli - all’omicidio Catalano, consumato a Napoli dodici anni fa. In un’altra occasione, il boss avrebbe chiesto di incontrare il pentito in un ristorante, per un pranzo in famiglia, spingendo un’altra donna a dichiarare: «Voleva ucciderci tutti. In passato, i Contini hanno ucciso tre dei miei fratelli, è chiaro che non avrebbe esitato ad ammazzare noi e il nipote». Capitolo racket: cinque le estorsioni messe in atto. Un cittadino è stato costretto ad acquistare effetti cambiari da corrispondere periodicamente al fine di non essere «mandato all’ospedale»; un imprenditore ha dovuto pagare 13.000 euro mensili a titolo di «pizzo» per poter continuare a svolgere la propria attività imprenditoriale, obbligando infine la vittima a chiudere la propria attività, a cedere le apparecchiature delle società e a versare un’ultima quota al sodalizio per il ritardo nei pagamenti. Ed ancora, un impresario di slot machine e videopoker è stato costretto a pagare migliaia di euro a scadenze mensili a titolo di «pizzo» così come il titolare di un distributore di carburanti ha dovuto versare a titolo estorsivo la somma di 10.000 euro. Uno scenario di terrore, in un quartiere in cui anche in un recente passato c’è chi si è tolto la vita per sfuggire alla morsa del racket e dell’usura. 

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