Quelle recite che mortificano i nostri figli

di ​Gabriel Zuchtriegel
Martedì 17 Dicembre 2019, 00:00
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I meravigliosi rilievi con le giovani danzatrici provenienti dal Santuario di Hera a Nord dell’antica Paestum fanno intuire che ragazze e ragazzi partecipassero a riti di passaggio che coinvolgevano danze, canti e processioni. Come scrive Massimo Osanna nel suo ultimo, brillante, libro su Pompei, tali riti servivano per preparare i giovani alle responsabilità che avrebbero dovuto affrontare da adulti. Oggi qualcuno si chiede perché non sempre gli adulti sono consapevoli delle grandi responsabilità che la vita in una società democratica comporta.

Allora si dovrebbe forse indagare come i nostri piccoli vivono i passaggi enfatizzati già 2500 anni fa sui rilievi dal tempio di Hera.

Temo che il risultato di una tale indagine sarebbe preoccupante. Ieri sono andato ad ascoltare la recita natalizia di mio figlio, che frequenta la prima elementare. Due enormi casse posizionati sui due lati dell’altare del convento francescano di Capaccio (doppiamente sacro per me, come cattolico e operatore nei beni culturali!), non promettevano bene. E, infatti, come già altre volte ci viene riproposto lo stesso spettacolo mortificante, triste: i bambini muovono le labbra, ma neanche loro riescono a sentire la propria voce, tanto è alto il volume della musica di “sottofondo”. “Jingle Bells Rock” e altre deprimenti espressioni di una cultura globalizzata e banalizzante, e questo nel paese di Monteverdi, Vivaldi, Scarlatti e Puccini. 

Al di là del fatto che noi genitori siamo venuti per sentire la voce dei nostri piccoli, e non per subire una musica commerciale e ubiqua, che ci assedia pure nel supermercato, il fatto preoccupante è un altro: cantare in pubblico, in un coro, è un’esperienza fondante, già dai tempi dell’antica Paestum. La timidezza di far sentire la propria voce in un luogo pubblico, poi l’emozione quando riusciamo a riempire lo spazio di questa cosa magica – la musica – con la nostra forza e creatività, sono veri e propri riti di passaggio che contribuiscono alla crescita personale e umana. Soffocando la voce dei bambini con musiche registrate, invece, trasmettiamo loro un altro messaggio: la vostra voce non è nulla rispetto alle voci emanate da altoparlanti e cellulari; in realtà, voi siete il sottofondo, la vostra voce non si sente neanche, la vera musica la fanno altri. 

Come andranno a votare, a far sentire la propria voce, a partecipare attivamente alla società democratica questi bambini, la cui autocoscienza viene minata in questa maniera? Come potranno esprimersi, se durante le prime apparizioni pubbliche muovono le labbra al canto di altri? Temo facendo così li prepariamo molto peggio alla vita adulta che gli antichi Pestani, che qualche decennio dopo la realizzazione del tempio di Hera con i rilievi delle giovani danzatrici, costruirono in città l’ekklesiasterion, luogo per le assemblee pubbliche quale segno di un nuovo percorso democratico che Paestum sembra aver imboccato proprio in quei anni. Ovviamente era sprovvisto di impianto audio. 
 
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