Un lavoro non solo a chi ha il sussidio

di Antonio Mattone
Mercoledì 9 Febbraio 2022, 00:04 - Ultimo agg. 11 Febbraio, 20:43
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Nei prossimi mesi 350 assistiti con il reddito di cittadinanza residenti a Napoli affiancheranno gli ormai pochi giardinieri rimasti ad occuparsi di aiuole e parchi cittadini. Con questa iniziativa, coloro che beneficiano del sussidio di povertà cominceranno ad impegnarsi nei lavori di pubblica utilità, rendendo un servizio alla città oltre che a sé stessi. Infatti, con la formazione e la successiva pratica, verranno certificate le competenze acquisite, un primo passo per potersi immettere sul mercato del lavoro.

Il progetto deriva dall’obbligo previsto dall’ultima legge di bilancio di impiegare nelle amministrazioni comunali almeno un terzo di coloro che percepiscono il sussidio in progetti utili alla collettività. Tra le novità sono previste la decadenza della misura dopo due, e non più tre offerte di lavoro rifiutate, e il potenziamento dei controlli sulla situazione penale dei componenti del nucleo familiare, con uno scambio dei dati tra Inps e ministero della Giustizia.

Il reddito di cittadinanza nelle intenzioni di chi lo aveva promosso avrebbe dovuto abolire la povertà nel nostro Paese avviando al lavoro chi ne usufruisce. Ci troviamo, tuttavia, di fronte a tutt’altra realtà. Innanzitutto occorre fare una distinzione tra occupabili e non, perché nella platea dei beneficiari ci sono persone difficilmente collocabili che necessitano soprattutto di un percorso di inclusione sociale. Nel frattempo, nel 2020, il numero dei poveri assoluti in Italia ha raggiunto quota 5,6 milioni. Si tratta di un milione di persone in più rispetto a quelle dell’anno precedente, che faticano a mettere il piatto a tavola e non riescono a sostenere le spese minime per condurre una vita accettabile.

Indubbiamente il Covid si è rivelato un moltiplicatore di diseguaglianze, aumentando il numero di coloro che sono stati risucchiati nel baratro della miseria. Nei Centri di ascolto della Caritas, negli ultimi tempi, si sono viste persone che non avevano mai varcato quella soglia. Si parla di una quota di oltre il 40% di povertà “inedite”.

Va poi messo in evidenza che soltanto il 44% delle famiglie in povertà assoluta riceve il reddito di cittadinanza, una palese contraddizione che dipende da diversi fattori, sostanzialmente legati ai requisiti di accesso e a diverse situazioni di precarietà non certificabili. Come quella dei senza fissa dimora che non hanno una residenza o a coloro che risiedono nello stato di famiglia dei genitori cumulando i redditi pur appartenendo a nuclei familiari diversi, fino ai separati che non hanno formalizzato la loro situazione e che quindi risultano ancora facenti parte della stessa famiglia: anche separarsi ha un costo.

C’è anche chi è in affitto al nero perché i proprietari di casa non vogliono registrarli per non pagare le tasse e così non possono elevare la soglia del reddito di ammissione. Poi c’è tutta la questione dei migranti che devono risiedere da almeno 10 anni in Italia e di chi è uscito dal carcere che deve aspettare lo stesso periodo senza aver commesso altri reati. Un tempo troppo lungo: chi è stato fuori dal circuito criminale per diversi anni difficilmente ci torna se viene aiutato a reinserirsi, anche con questa forma di aiuto. Ricordiamo le recenti parole di papa Francesco sulla necessità di integrare e accogliere chi scappa dalla propria terra per cercare un futuro migliore e il discorso del presidente Mattarella che ha parlato del reinserimento sociale dei detenuti come migliore garanzia di sicurezza per la società.

Basterebbe per entrambe le categorie la metà del tempo previsto.
Inoltre a beneficiare del reddito sono soprattutto i single e le famiglie poco numerose, a discapito di quelle con tre o più componenti, favorite dalla particolare scala di equivalenza che cresce lentamente all’aumentare del numero dei componenti. In questo modo l’importo dell’assegno è in proporzione superiore per i piccoli nuclei familiari. Queste ed altre criticità sono state rilevate dalla commissione Saraceno, incaricata dal ministro del lavoro Orlando di studiare rettifiche alla legge, osservazioni quasi del tutto accantonate per non contrariare i componenti del Movimento 5 stelle.

Il reddito di cittadinanza resta una misura di mero contrasto alla povertà e non un trampolino di lancio per il lavoro. Ben pochi sono quelli che hanno trovato una occupazione, e la maggior parte di questi per meno di tre mesi.
Intanto il Comune di Napoli prevede di estendere ad altri settori questa esperienza. Utilizzare i percettori del reddito per lavori di pubblica utilità è sicuramente un segnale importante. Vedremo anche quali ricadute avrà sull’efficienza dei servizi e quale sarà la risposta delle persone coinvolte.

Tuttavia per mettere in campo risolutive politiche attive del lavoro ci vuole ben altro. Certamente la giunta del sindaco Manfredi può suscitare idee e progettualità per generare una nuova visione di sviluppo della città e per creare le condizioni di un rilancio occupazionale per Napoli e soprattutto per i suoi giovani.
 

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