Taddei: «Palazzo Chigi non ha dimenticato il Sud ma la fiscalità di vantaggio da sola non basta»

di Nando Santonastaso
Giovedì 30 Luglio 2015, 23:30 - Ultimo agg. 23:34
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Ci mette la faccia, o meglio il pensiero Filippo Taddei, responsabile economico Pd nel giorno in cui anche i dati Svimez contribuiscono a creare ulteriori frizioni tra minoranza dem e governo. «Non si può dire che Renzi e i suoi ministri abbiano dimenticato il Mezzogiorno: è merito ad esempio di questo esecutivo e in particolare del ministro Delrio se si è deciso di accelerare la spesa dei fondi europei, ad esempio, con i risultati certificati in questi mesi dall’Ue», dice l’economista.



I dati sul divario sono però impressionanti: sicuri che state facendo il possibile per non perdere il Sud?

«Partiamo dalla consapevolezza che l’economia italiana ha avuto una contrazione senza precedenti, scaricata soprattutto - come in genere succede - sulle aree più fragili del Paese. Nessuno ha mai sottovalutato la gravità della situazione e non crediamo che sia il caso oggi di cedere al catastrofismo. È vero, il dato cumulato è molto più visibile ma la caduta registrata nel 2014 è oggi rallentata. E i nostri indicatori sono lì a confermarlo».



Ce ne vorrà, però, di tempo per il Sud per cercare di risalire la china: non crede?

«Nel 2015 le cose stanno migliorando. I dati Svimez non catturano, e non certo per negligenza, l’effetto-ripresa che è già emerso nel primo trimestre di quest’anno. Il rapporto fotografa l’entità del calo, la dimensione della caduta, non la forza del rilancio».



La Svimez dice: serve un governo regista, non più arbitro. Che ne pensa?

«Il ragionamento va fatto sul Paese, e quindi anche sul Mezzogiorno. Illudersi di tornare allo Stato imprenditore non ha senso. Noi pensiamo piuttosto ad uno Stato facilitatore delle energie del Paese, e ce ne sono molto anche nel Sud. Ribadisco, la media dei dati 2014 è preoccupante, specie perché eravamo ancora in recessione. Ma non si può ignorare che anche nel Sud ci sono esempi industriali e produttivi di primario interesse nazionale. Lo Stato italiano non è uno stato arbitro: la politica economica fa da sostegno».



Insomma c’è una terza via tra regista e arbitro?

«Proprio così. È una via intermedia, quella appunto del sostegno e degli incentivi: la politica industriale del passato è stata o totalmente incoerente, priva di visione sistemica, o disposta a scegliere solo per settori. A questo modello abbiamo pensato di sostituirne un altro, che non esclude ovviamente le priorità strategiche ma che sta puntando sugli incentivi generalizzati perché il contesto produttivo italiano, tanto più nel Mezzogiorno, è capillare e diffuso. Se mi metto a indirizzare l’intervento di sostegno specifico, secondo il modello tradizionale, ho un solo effetto: ritardo la diffusione dello sviluppo».



Facciamo qualche esempio concreto, per favore.

«Il settore biomedicale della Puglia è più vicino in termini di qualità e di innovazione alle aziende del software che stano sviluppandosi in Calabria: è qui che lo Stato deve garantire il sostegno perché ci sono le condizioni per una ”vicinanza” forte in termini di investimenti. È qui che il governo mette le stampelle, gli incentivi cioè per far funzionare queste aziende: lo fa con il fisco, con il taglio dell’Irap. Perché anche queste misure sono di politica industriale. Lo abbiamo dimostrato nel decreto competitività: non c’erano solo le misure per le Banche popolari ma ben 40 interventi per le pmi innovative».



Svimez propone le zone economiche speciali con sgravi fiscali da compensare attraverso i fondi europei: è una strada percorribile?

«Io credo che in realtà bisogna uscire dall’emergenza pur sapendo che sarà molto difficile. La logica dell’emergenza affronta la parte più grave dei problemi ma non sempre li risolve. Il Pd vuole fare invece un’operazione più ambiziosa: il Sud come luogo di sviluppo economico dove non solo si può andare perché transitoriamente si beneficia di uno sgravio fiscale, ma dove si può investire in modo permanente. Un imprenditore proprio in questi giorni doveva decidere se portare un investimento in Puglia o in Svizzera: alla fine sceglierà la Svizzera non perché là gli garantiscono una fiscalità di vantaggio ma perché c’è una prospettiva».



Ma così è fin troppo facile prevedere per il Sud la deriva...

«No, voglio dire che un’area di vantaggio fiscale offre comunque una prospettiva modesta per chi vuole investire. La nostra cornice di sviluppo permette invece di non considerare prioritaria la tipologia dell’impresa e la sua capacità di investire sull’occupazione in modo continuo, duraturo».



Non è che così il malato muore e nessuno se ne accorge?

«Assolutamente no. Ho parlato prima di Delrio e ricordo a me stesso che da ministro dei trasporti, in piena sintonia con Renzi, ha preso in mano la partita delle opere incompiute e dei relativi finanziamenti. Sono tute o quasi al Sud. E’ chiaro che credendo nella capacità imprenditoriale e dei lavoratori del Paese e del Sud di generare il cambiamento, si può voltare pagina. Tra fondi europei e opere pubbliche abbiamo rimesso in moto la macchina: il 2015 lo dimostrerà».