Ma per favore non chiamateci ​tutti camorristi

di Massimo Corcione
Venerdì 6 Maggio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Per favore, adesso non chiamateci tutti camorristi. Mi chiamo Massimo Corcione, sono nato a Torre Annunziata e lì ritorno ogni volta che devo ricaricare le pile. Felice di farlo, come sono orgoglioso delle mie origini. Non si è camorristi per condanna legata alla nascita. Ma non chiedo la grazia: hanno sciolto il Consiglio Comunale, così come era successo nel 1993, otto anni dopo che la mafia di casa nostra aveva ucciso Giancarlo Siani. Non fu una decisione presa così di botto: passò un tempo infinito, le inchieste per la morte del giovane cronista si intrecciarono con quelle per Tangentopoli secondo un copione che ancora presenta qualche salto logico. Per una stagione disgraziata, Giancarlo aveva raccontato per “Il Mattino” una cittadina che aveva imparato a conoscere poco a poco, percorrendola tutta, in auto, con la sua indimenticata Mehari verde penicillina o, a piedi, accompagnandosi con il suo amico Antonio. Per lui era stata la prima conferma che anche laggiù, nell’inferno di Fort Apasc, era possibile, addirittura semplice, imbattersi in un coetaneo con le stesse ambizioni, gli stessi sogni, gli stessi gusti che avevi imparato ad amare nella grande città.

Aveva imparato a conoscere anche l’altra faccia, quella mostruosamente malata, maledettamente contagiosa senza che mai nessun vaccino ne abbia limitato la diffusione. Neppure la paralisi dell’attività politica locale potette molto, tutto si è riformato sempre uguale a sé stesso con identica virulenza. Anzi sempre più inguaribile, perché in questa guerra intestina l’altra parte, la Resistenza, s’è pure indebolita. 

Sicuramente nel numero: i ragazzi che hanno scelto di emigrare per studiare o per inseguire il proprio futuro lavorativo sono aumentati nei decenni seguendo un incremento esponenziale.

E la diserzione favorisce chi è rimasto, anche se portatore di interessi criminali. In mezzo, tra le due parti la città: la salute peggiora sempre di più, anche se i segnali apparenti descrivono un quotidiano molto più normale di un tempo non lontano, quando la notte chiudeva in tutta fretta il giorno.

Stavolta la scelta di fermare tutto è stata più rapida. Sandro Ruotolo, parlamentare che ha frequentato anche il giornalismo investigativo, definisce inevitabile il provvedimento e necessaria la pausa di diciotto mesi imposta perché tutto cambi. L’esperienza passata non assicura un ottimismo facile da sottoscrivere; il meccanismo descritto è ancora più infernale, la rete corruttiva molto diffusa. L’agenda del caso è ricca di nomi, l’accusa ha descritto fatti e assegnato responsabilità. Identificato anche il collegamento diretto: ora pare che tutti sapessero o almeno sospettassero. Se così fosse, il primo atto sarebbe già concluso e la fine vicinissima, per il nuovo capo dell’Antimafia Melillo un successo immediato. Diciotto mesi potrebbero funzionare come uno straordinario igienizzante. Ma, per favore, non chiamateci tutti camorristi. 

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