Melanoma, Ascierto: «Vaccino, che emozione! È una vittoria di squadra»

Il luminare: «Quante telefonate e “like” sui social, dedico ai miei due figli questo risultato»

Paolo Ascierto
Paolo Ascierto
di Ettore Mautone
Sabato 27 Gennaio 2024, 23:30 - Ultimo agg. 28 Gennaio, 21:09
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Cinquantanove anni, primario del Pascale di Napoli, clinico e ricercatore di fama internazionale nel campo della cura del melanoma e dell’immunoterapia dei tumori è consapevole che, essere il primo ad avviare in Italia la sperimentazione finale, sull’uomo, del vaccino a Rna contro il melanoma, lo mette in prima fila in quella che si annuncia come una nuova svolta nella cura di questo e di altri tipi di cancro. Quello che lo accompagna è uno spirito pionieristico, fatto di emozioni, ottimismo e grandi speranze, un nuovo traguardo che si profila ormai a portata di mano.

Professore Ascierto, siete dunque i primi in Italia nella sperimentazione del vaccino a Rna contro il Melanoma?
«Voglio premettere che non siamo l’unico centro italiano che eseguirà la sperimentaizone di fase III, ma siamo partiti per primi e questo mi riempie di orgoglio e di gioia perché la ricerca a Napoli e in Campania è di altissimo livello in tutti i campi e merita di essere raccontata. Anche la rete oncologica campana in pochi anni ha recuperato il ritardo storico, è diventata un modello per molte regioni anche del nord e riassorbito anche parte della migrazione sanitaria verso altre regioni».

Quali altri centri italiani saranno coinvolti?
«Due a Milano, all’Istituto Tumori e all’Ieo, uno a Perugia e l’altro a Siena».

Perché Napoli per prima?
«Perché faccio parte del board scientifico dello studio e hanno scelto noi».

Quali emozioni ha provato nell’avviare questo ultimo tratto di strada che ci separa da quella che si annuncia come una rivoluzione nella cura del cancro?
«Ho provato una grande soddisfazione ma l’emozione vera l’ho avvertita un anno fa, quando ho visto i risultati della sperimentazione precedente, la fase II dello studio, sempre sull’uomo».

Che tipo di risultati?
«L’efficacia è straordinaria: anche in quel caso lo studio era a doppio cieco e nessuno sapeva, né il paziente né il clinico, chi avesse assunto il vaccino e chi una sostanza inerte.

Novanta pazienti hanno ricevuto il vaccino più la immunoterapia standard e gli altri solo il farmaco immunoterapico più in uso oggi, ossia il Pembrolizumab. Ebbene nei pazienti vaccinati si è osservata una riduzione del 44 per cento del rischio di ricaduta e addirittura del 66 per cento riguardo al rischio di metastasi a distanza. Questo vuol dire poter ridare una speranza di vita a persone, pazienti, fatti di carne e ossa, che hanno figli, famiglie, e che lottano magari da anni contro un nemico che per quanto tenuto a bada dalle nuove terapie immunologiche resta subdolo. Una guerra esistenziale, per la vita. Tutto questo ha fatto esplodere l’entusiasmo in me e in tutto il mio gruppo».

Quanti siete? Da chi è composto il suo gruppo?
«Siamo una vera e propria squadra fatta di clinici e ricercatori: è formata da sei oncologi, cinque dermatologi, cinque biologi, cinque infermieri di ricerca, sei study coordinator laureati in Biotecnologie e farmacia. Tutti giovanissimi e napoletani doc».

A proposito di squadra, lei tifa per la Juve: le viene perdonato dal suo gruppo e dai suoi pazienti questo “neo”?
«Sì, assolutamente: nonostante questo mi amano tutti e confesso che durante l’ultima Supercoppa a Riad ho tifato per il Napoli come mai mi era capitato prima. Si vede che il mio cuore batte anche per questa città».

Dove lei ha studiato da fuori sede provenendo dal Molise.
«Sì, sono nato nel Sannio a Solopaca ma ho trascorso l’infanzia e poi la giovinezza a Campobasso. Quindi sono arrivato a Napoli per l’Università. Alloggiavo a Fuorigrotta perché mi iscrissi a Ingegneria. Mi sarebbe piaciuto entrare nell’arma dei Carabinieri ma mio padre spingeva per Medicina e Ingegneria era un compromesso. Poi mi trasferii a Medicina alla Federico II, nel policlinico collinare. Da qui la passione per l’immunologia e l’oncologia maturata sui banchi dell’Università. Un imprinting che mi ha orientato alla ricerca: ho compreso che il sistema immunitario è l’arma letale da sfoderare nella cura del cancro».

Come hanno reagito i suoi amici e colleghi alla notizia della prima dose di vaccino somministrata?
«Ho ricevuto decine di telefonate sia da chi lavora in questo campo ma anche da parte di chirurghi e specialisti di altre discipline sia napoletani che residenti in altre città. Su internet poi e sui social sono centinaia le testimonianze di stima e di apprezzamento. Fa piacere, è innegabile, è un motivo di orgoglio e di spinta ad andare avanti su questa strada. Mi hanno chiamato anche il governatore De Luca e Clemente Mastella, orgoglio sannita». 

La sua famiglia partecipa alle sue conquiste professionali?
«Certo, ho sacrificato molto la famiglia per i miei studi: lavoro fino a sera tarda e sono spesso in viaggio ma mia moglie è una senologa e lavora al Pascale e dei miei due figli il primo Marco, che ha 23 anni, è uno studente a Medicina ed è molto interessato a quello che faccio. Poi c’è Luca ha 21 anni studia Giurisprudenza e ha deciso che farà il giornalista. Dedico a loro in particolare questo risultato». 

Cosa le ha detto il paziente che ha ricevuto il vaccino due giorni fa?
«È un medico originario delle mie terre. Ci siamo conosciuti e subito capiti. Avendo le competenze ha compreso subito cosa fosse quella nuova cura e non ha avuto esitazioni. Anzi era anche lui entusiasta. In medicina la competenza è una forma di rassicurazione. La scienza un conforto nella sofferenza. Molte delle incomprensioni che sorgono tra medico e paziente, anche alcune assurde aggressioni sono il frutto marcio della non conoscenza e della presunzione di sapere dopo aver letto qualche pagina su internet. Basta vedere cosa è accaduto con i vaccini durante il Covid».

A proposito di Covid, è servita la pandemia a migliorare questa tecnologia a Rna messaggero in campo oncologico?
«In effetti è il contrario: è la ricerca sul cancro, l'uso di questa strategia ad aver prestato le proprie conoscenze al Covid. Quando poi si è visto che il vaccino funzionava ed era efficace tutti siamo stati più consapevoli della formidabile arma che stavamo mettendo a punto».

Perché ha scelto di studiare il Melanoma?
«Perché è quello che secondo i primi pionieristici studi era quello che più di altri rispondeva alle cure immunologiche».

Quali passioni coltiva oltre a quelle scientifiche? Cosa fa per rilassarsi?
«Ascolto musica e vado in moto: ho una passione per le Harley Davidson».

Come è nata questa predilezione?
«Da giovane vedevo sempre una serie televisiva, Chips: pensavo che i protagonisti montassero delle Harley e così appena ho potuto ne ho comprata una».

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