La moglie dell'autista del 118 morto di Covid: «Nessun colpevole? Mio marito ucciso due volte: tolgano il suo nome dalla casa salute»

Giorgio Scrofani, morto per Covid-19, e la vedova Carla Iole
Giorgio Scrofani, morto per Covid-19, e la vedova Carla Iole
di Lorenzo Furlani
Domenica 11 Aprile 2021, 05:25 - Ultimo agg. 09:59
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Signora Carla Ioele, un anno dopo cosa prova per la perdita di suo marito Giorgio, morto per Covid-19 il 30 marzo 2020?
«A me non sembra passato un anno, adesso sopraggiunge anche la rabbia per quello che sta accadendo. Il dolore è sempre quello, Giorgio era il mio sostegno e mi manca terribilmente. Lo piango ogni minuto di ogni ora di ogni giorno».

Tanti hanno testimoniato la sua generosità verso la famiglia e l’abnegazione al lavoro. Com’era Giorgio Scrofani?
«Era una persona buona, generosa, sempre disponibile per il prossimo, un buon marito e un meraviglioso padre ed era un grandissimo lavoratore.

Lavorava sempre senza pensare a sé stesso, per lui prima veniva il lavoro e poi la sua persona».

Anche lei allora contrasse il coronavirus, ma guarì senza conseguenze. Come si sviluppò la doppia infezione?
«Io in quel periodo stavo sempre in casa, in conseguenza a un intervento chirurgico, quindi ho sicuramente contratto il virus da Giorgio».

Come crede che vi siate infettati lei e suo marito?
«Lui è stato infettato sicuramente durante il lavoro e lo dico con certezza perché mio marito in quel periodo era tutto casa e lavoro. Lui, tra l’altro, portava a casa la divisa utilizzata che provvedevo io a lavare».

Cosa le raccontava Giorgio del suo lavoro di autista soccorritore del 118, in quei giorni caldissimi in cui si sviluppava la prima ondata della pandemia?
«Giorgio era molto preoccupato e mi raccontava che c’erano delle cose che non andavano, mi raccontava che da gennaio trasportavano molte persone con sintomi senza sapere del disastro Covid. Lui diceva sempre che eravamo in guerra e poi ho capito che con i colleghi andava in guerra ma combatteva con pistole ad acqua».

Si è mai confidato in casa sulla disponibilità dei dispositivi di protezione individuale al lavoro e sulla formazione specifica per il Covid-19 con cui eseguiva i soccorsi e i trasporti dei pazienti tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo?
«Lui si è sempre lamentato della mancanza dei dispositivi di protezione e, infatti, all’inizio della criticità del periodo si era fornito a sue spese di mascherine chirurgiche».

Dopo la morte che risposte avete avuto, lei e sua figlia, dalla Croce Europa Valconca, di cui suo marito era dipendente e il cui contratto scadeva proprio il giorno dopo il decesso?
«I dipendenti ed il presidente della Croce Europa Valconca hanno fatto una raccolta fondi in aiuto mio e di mia figlia nonché hanno diffuso un video in memoria di Giorgio».

E quali le risposte dall’Area vasta 1 dell’Asur, per la quale venivano eseguiti i trasporti dalla postazione territoriale di soccorso del 118 di Calcinelli?
«L’Area vasta 1 ha intestato la casa della salute di Calcinelli a Giorgio, anche se io dal giorno della sua malattia non ho mai sentito nessuno della stessa Area vasta. Sinceramente, mi sento presa in giro per il fatto che abbiano dato il nome di Giorgio ad una struttura pubblica e, per contro, non abbiano riconosciuto le cause della morte. Pertanto, chiederò la rimozione del nome di Giorgio dalla struttura».

Che cosa ha provato quando ha saputo che la procura della Repubblica ha chiesto l’archiviazione dell’indagine ritenendo che nessuno sia colpevole della morte di suo marito?
«Ho provato rabbia; è vergognoso ritenere che non ci siano responsabili, visto che mio marito è morto svolgendo il proprio compito lavorativo e che l’Inail ha classificato il suo decesso come infortunio mortale sul lavoro. Tanto che ora percepisco una rendita Inail. Così hanno ucciso ben due volte mio marito».

Ora che cosa farà?
«Combatterò in ogni sede e luogo finché non avrò giustizia per la morte di mio marito. Non cerco vendetta, ma giustizia».

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