Pompei dopo il Covid, deserta come dopo l'eruzione

Le foto di Luigi Spina esposte a Castel Sant’Angelo

Praedia Giulia Felice a Pompei
Praedia Giulia Felice a Pompei
di Lorenza Fruci
Lunedì 22 Aprile 2024, 23:48 - Ultimo agg. 24 Aprile, 11:16
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È una Pompei deserta e avvolta da un’aura di silenzio quella delle fotografie di Luigi Spina esposte da oggi fino al 16 giugno a Castel Sant’Angelo a Roma.

Realizzate tra il 2020 e il 2023, queste immagini sono raccolte per la prima volta nella mostra «Interno pompeiano»: sessanta scatti a colori di grande formato che mostrano lo sguardo di un maestro (suo già uno straordinario reportage dal Mann) sulle domus, che fanno parte di un più ampio progetto, iniziato nel periodo della pandemia, dedicato al sito archeologico.

«È un progetto sugli interni di Pompei che avevo ideato già nel 2010 e che sono riuscito a realizzare grazie a Massimo Osanna, all’epoca direttore del parco archeologico, che ha capito le mie intenzioni e lo ha accettato con entusiasmo», ricorda Spina: «Volevo raccontare lo spazio, volevo cogliere la dimensione della domus e per farlo era necessario restituire la sensazione di stare a casa, perché per me il valore del racconto è sempre legato alla vita degli altri, anche nell’assenza di vita.

Volevo ridare parola a coloro che non possono più comunicare, e farlo attraverso quello che hanno lasciato».

Il mezzo scelto da Spina per rendere sguardo questo racconto è una fotocamera Hasselblad H6D-100c con le ottiche e senza luce artificiale: «Ho scelto l’Hasselblad per le sue caratteristiche, infatti quando ho scattato le prime foto e sono tornato a casa, ho cominciato a vedere mezzi toni che a occhio nudo non avevo visto. Più luce raccogli, più informazioni hai, le lunghe esposizioni ti consentono di rintracciare sfumature e colori, anche delle tonalità».

Le foto sono state realizzate nel periodo di chiusura del sito per Covid e hanno permesso a Spina e alla sua compagna (di lavoro e di vita) Serenella Romano quasi di viverci, potendo così seguire nell’arco delle giornate il modellarsi della luce naturale da cogliere poi negli scatti: «Noi Pompei l’abbiamo abitata, era diventata quasi una sorta di nostro rifugio, l’abbiamo vissuta come una parte della nostra vita. Era essenziale condividere la giornata, è stata anche un’operazione familiare che, se non ci fosse stata Serenella, non ci sarebbe riuscita. Abbiamo fatto centinaia di sopralluoghi prima di scegliere l’orario in cui scattare le fotografie, accordare i tempi della luce naturale delle domus ha richiesto due anni: l’attesa, come sempre accade in fotografia, è sempre necessaria».

Nelle foto si possono osservare da vicino i mosaici, ripercorrere i peristili, riscoprire i dettagli delle pitture parietali e degli interni di oltre centoventi domus. Nei suoi 1450 scatti ci sono la Casa di Marco Lucrezio su via Stabiana, quella del Poeta Tragico col celeberrimo mosaico «cave canem», la Casa di Orione con le loro tonalità: rosso sinopsis, giallo tenue, verde delicato e azzurro polveroso.

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300 di queste fotografie in grande formato hanno dato vita in primis al progetto editoriale Interno pompeiano (5 Continents Editions), un libro con saggi, oltre che dello stesso Spina, di Massimo Osanna, Gabriel Zuchtriegel, Carlo Rescigno e Giuseppe Scarpati, realizzato in edizione italiana e diverse co-edizioni internazionali. Poi alla mostra a Castel Sant’Angelo.

«Il progetto è nato nel periodo del Covid, quando i musei erano chiusi», ha specificato Osanna, oggi direttore generale dei musei: «L’ho vissuto come un’occasione per ripensare un luogo sempre assaltato da visitatori - oltre 4 milioni all’anno - che si vedeva vuoto per la prima volta, e come un momento di riflessione attraverso lo sguardo inedito su un luogo iconico della nostra cultura di una persona che ha una grande sensibilità per l’antico. Il valore di queste foto oggi è duplice perché rappresenta un luogo emblematico nella nostra cultura ed un modo inedito, per noi, di viverlo. Una memoria dell’antica tragedia dell’eruzioneo, ma anche una memoria contemporanea della tragedia pandemica che abbiamo vissuto».

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