Mozart a fumetti: il racconto del suo viaggio a Napoli tra note e superstizioni

Quando il giovane genio incantò la città partenopea

Mozart a fumetti
Mozart a fumetti
di Ugo Cundari
Domenica 7 Aprile 2024, 08:00 - Ultimo agg. 18:17
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Quattordicenne, il già talentuoso Mozart si esibì suonando il clavicembalo al conservatorio della Pietà de’ Turchini. Era la fine di maggio del 1770, lui era in Italia con il padre. Tra il pubblico si dice ci fosse anche Raimondo di Sangro, elegante e fiero. Il giovane musicista lasciò tutti a bocca aperta. Girò voce, forse ci mise lo zampino il principe di Sansevero, che le sue strabilianti capacità tecniche fossero dovute alla magia di un anello che portava al dito. Mozart se lo sfilò, ricominciò a suonare e il pubblico si meravigliò ancora di più. L’unico a rimanere indifferente in quel concerto fu l’abate Ferdinando Galiani, che sul suo diario appuntò: «Mozart? Non sarà altro che un portento passeggero». Evidentemente non aveva l’orecchio giusto.

Questa è una delle tante storielle partenopee con protagonista uno dei più celebri compositori di sempre raccontata nel fumetto Mozart, viaggio a Napoli (Guida, pagine 86, euro 15), soggetto e sceneggiatura di Chiara Macor, disegni di Emanuele Parascandalo, colori di Chiara Imparato, art direction di Pasquale Pako Massimo.

A Napoli il musicista frequentò il San Carlo, andò a Pompei, strinse amicizia con i nobili, osservò la vita quotidiana della folla che lo colpì tanto da definire Napoli «città dei laceroni», rimase impressionato dalla superstizione così diffusa. Poi tornò a Salisburgo e di Napoli pare abbia parlato poco finché, due anni prima di morire trentaquattrenne, scrisse la terza e ultima delle sue opere buffe, «Così fan tutte, ossia la scuola degli amanti», su libretto di Lorenzo Da Ponte, ambientandola in riva al golfo, ed è da questa creazione che inizia il fumetto, con lunghi flashback.

Tra i ricordi più intensi che il giovane musicista si è portato dietro dal viaggio a Napoli ci sono la visita alla grotta di Posillipo e alla tomba di Virgilio.

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Se c’è una lezione che il giovane Wolfgang Amadeus imparò a Napoli, parlando con il padre nella certosa di San Martino, è l’amore per la libertà. In una striscia dice: «Io voglio fare musica, quella che dico io, non quella che mi comanda un qualsiasi somaro pieno di soldi!». Il padre cercò di fargli capire che il mondo non funzionava come uno avrebbe voluto, che era necessario scendere a compromessi e «sapersi districare nelle trame dei potenti e creare ugualmente qualcosa di sublime». Il giovane, contemplando il mare e il Vesuvio, rispose che in questo modo gli sembrava più il mestiere di un acrobata che quello di un musicista. «Vorrei essere libero, padrone del mio intelletto e usarlo per esprimere le mie idee e la mia arte. Voglio diventare famoso e grande per il mio talento, per l’amore che il pubblico ha per le mie opere, non perché sono riuscito ad accaparrarmi il favore di un protettore». 

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