Mario Draghi tiene la barra dritta. Va alle Camere e non si sposta neppure di un millimetro dalla linea dei tre patriottismi (ucraino, europeista, atlantista) nonostante i pacifismi più o meno propagandistici di una parte della sua maggioranza, quella gialloverde di Conte e Salvini. «Subito un cessate il fuoco e far ripartire i negoziati per arrivare a una pace che sarà l’Ucraina, e non altri, a decidere se accettare: è la posizione dell’Italia, dell’Ue e che ho condiviso con il presidente Usa Joe Biden». Questo il nocciolo duro del discorso del premier. Il cui volto trasmette preoccupazione mentre egli parla al Senato del conflitto in Ucraina, nell’informativa sulla guerra che sta innescando una «crisi alimentare» che potrebbe avere effetti disastrosi, dopo che l’invasione russa ha già provocato l’esodo di 14 milioni di persone che hanno dovuto lasciare le proprie case, «quasi un cittadino su tre». E ancora: a luglio ad Ankara si svolgerà il vertice Italia-Turchia e sarà, secondo Draghi, un passaggio fondamentale sia per le questioni energetiche, sia per quelle dell’accoglienza dei profughi sia per quanto riguarda l’adesione di Finlandia e Svezia nella nato a cui Erdogan si oppone.
Il cerino
Nessun voto sulle parole del premier, e M5S è rimasto con il cerino in mano: lo chiedeva e non lo ha avuto e Conte ha insistito anche ieri per una nuova risoluzione da votare sulle armi agli ucraini ma niente: respinto con perdite.
Pazienza finita
Il «così non si va avanti», scandito da Draghi è figlio della giornata trascorsa in Parlamento ma in generale della sensazione, sempre più crescente nelle ultime settimane, che i partiti concentrati soltanto sulle scadenze elettorali - le Comunali adesso e le Politiche nel 2023 - stiano tralasciando l’interesse nazionale e il futuro di un Paese che ha bisogno di rimettersi in pista facendo le riforme che servono e che sono intrecciate ai piani di aiuto finanziario targati Ue. Da qui l’allarme rosso lanciato ai ministri e la convocazione urgente a Palazzo Chigi per le «comunicazioni» del premier. Tutti ignorano perché Mario Draghi voglia vederli, e così a stretto giro dai lanci di agenzie che danno notizia del Cdm dell’ultimo minuto la preoccupazione si diffonde tra Camera e Senato, anche perché «tira brutta aria»: questo il messaggio che rimbalza tra ministri, big e peones dell’intero arco della maggioranza. Tutti convinti che, dopo la strigliata del 17 febbraio scorso ai capi delegazione dei partiti che sostengono l’esecutivo, Draghi abbia quanto meno pronta una nuova ramanzina. Il Cdm si rivela una riunione lampo, appena 8 minuti. E tutti promettono obbedienza. Draghi dice ai convocati che sulla riforma della concorrenza non sono ammessi ritardi, essendo uno dei pilastri del Pnrr. Quindi sì, «la mediazione è importante»: ma anche la rapidità e la concretezza dell’azione. Si veleggia verso la fiducia sul provvedimento: «Verrà posta entro fine maggio». E ancora Draghi: «Capisco le esigenze elettorali, ma se ci blocchiamo su tutto il resto il danno per l’Italia rischia di diventare grave». Questa la convinzione del premier. Che ha di colpo convocato davanti alla lavagna di Palazzo Chigi i suoi ministri per strigliare i loro partiti di appartenenza.