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GIUSEPPE CONTE

Riforma giustizia, Dadone: usciamo dal governo. Conte la costringe al dietrofront

Riforma giustizia, Dadone: usciamo dal governo. Conte la costringe al dietrofront
Riforma giustizia, Dadone: usciamo dal governo. Conte la costringe al dietrofront
di Emilio Pucci
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 24 Luglio 2021, 07:00
3 Minuti di Lettura

«Ho intenzione di mediare fino all'ultimo». Giuseppe Conte è ancora convinto che un'intesa sulla riforma della giustizia si possa trovare. «Ci stiamo lavorando» ha detto ieri uscendo da Montecitorio, dopo un intero pomeriggio passato con l'ex ministro Bonafede e i membri pentastellati della commissione Giustizia per trovare una soluzione. Per l'ex premier la partita sulla riforma del processo penale è ancora in corso, nel solco di una linea di cautela che trova d'accordo anche Grillo e l'ala governista M5S. E l'incidente diplomatico causato dalla pentastellata Dadone che ieri ha ventilato l'ipotesi di dimissioni di massa dei ministri in mancanza di modifiche («è un'ipotesi sicuramente da valutare») ha rischiato di rompere quel filo sottile di dialogo con il premier Draghi.

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È intervenuto lo stesso Conte ad invitare ad abbassare i toni, da qui il dietrofront della responsabile delle Politiche giovanili. Ma il leader in pectore, pur lasciando la porta aperta al confronto, non abbassa la guardia. Se non ci sarà un'intesa spendibile allora M5S si terrà le mani libere. Nonostante il lavorio dei pontieri che puntano ad un'intesa in extremis. Ma nelle ultime 48 ore sta emergendo sempre più un dato che M5S non aveva messo in conto. La tenacia di Draghi che non intende affatto stravolgere il testo.

GLI EMENDAMENTI

Il problema è che ancora non si è deciso nulla sui tempi di esame e di voto degli oltre 1.500 emendamenti al ddl atteso in Aula venerdì prossimo. Il rischio è che l'iter slitti ancora. Il capo dell'esecutivo è perentorio, così salta la riforma, non possiamo permetterci ulteriori dilazioni. L'arma resta quella della fiducia, autorizzata su richiesta dello stesso Draghi in un Cdm che ha spiazzato i ministri M5S. E il fatto che il Quirinale abbia blindato il ministro Cartabia rende ancora più nervosi i pentastellati che sulla riforma del processo penale vogliono andare fino in fondo. Le pressioni, anche all'interno del Movimento, affinché Conte non strappi sono sempre più forti. Tuttavia l'ex premier non può avallare una riforma che tradisce, a suo dire, il voto di dieci milioni di elettori Cinquestelle che chiedono intransigenza, su questo così come sulla difesa del reddito di cittadinanza (Conte ha chiesto a Draghi di aumentare i fondi ad hoc).

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Tira insomma aria di tempesta. Alla Camera sono più di 40 i pentastellati pronti a rompere sulla fiducia, optando per l'astensione. E anche al Senato il clima è sempre più incandescente. Conte non ritiene sufficiente la soluzione escogitata dal Guardasigilli - una norma transitoria che faccia slittare la riforma nel 2024, allungando da due a tre anni il timing per l'appello - e rilancia sulla necessità che sia lasciata maggiore flessibilità ai magistrati, che si ampli la lista dei reati imprescrittibili, affinché sia applicata la legge Bonafede per tutti i reati associativi e per quelli contro la P.a.

IL RINVIO

«Miglioreremo l'impianto», rassicura Patuanelli. Ma M5S punta ancora al rinvio del voto a dopo l'estate. Il 2 e 3 agosto gli iscritti M5S si pronunceranno sul nuovo Statuto. Nei prossimi giorni partirà una campagna affinché si esprimano tutti gli attivisti. Una campagna che in mancanza di un accordo sulla giustizia potrebbe essere anche il viatico per interrogarsi sulla permanenza M5S nel governo.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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