La terza vita del castello di Miasino,
buen retiro del boss Pasquale Galasso

La terza vita del castello di Miasino, buen retiro del boss Pasquale Galasso
di Massimo Novelli
Sabato 28 Maggio 2022, 23:45 - Ultimo agg. 30 Maggio, 07:21
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Si dice che il marchese piemontese Paolo Solaroli di Briona (1796-1878) abbia ispirato lo scrittore Emilio Salgari per il personaggio di Yanez, il compagno di Sandokan in tanti libri. Certo è che la vita di Solaroli fu davvero un romanzo. Nato a Novara, da umile sarto si fece avventuriero in India e sposò la pronipote della “begum” (una sorta di regina locale) del sultanato di Sardhana, ai confini con il Nepal. Ritornato poi in patria nel 1848, con le sue grandi ricchezze finanziò la prima guerra d’indipendenza intrapresa da re Carlo Alberto di Savoia-Carignano; fu quindi nominato barone e successivamente marchese, ebbe il grado di generale e accompagnò Vittorio Emanuele II, come aiutante di campo, allo storico incontro di Teano. Investì il suo denaro nell’edilizia: a Torino, intanto, ma anche acquistando il castello di Briona e facendo costruire, a partire dal 1867, una bella villa-castello sulle alture del lago d’Orta, a Miasino.

Ciò che il marchese Solaroli non avrebbe mai potuto immaginare, anche se abituato, com’era, a tante avventure straordinarie, è che un giorno il maniero di Miasino sarebbe finito nelle mani del boss della camorra Pasquale Galasso, capo dell’omonimo clan di Poggiomarino e fra i personaggi di primo piano del panorama criminale in Campania.

Lo comprò negli anni Ottanta. Nel 1992 Galasso fu arrestato e in seguito divenne collaboratore di giustizia. Il castello venne comunque confiscato una prima volta, nel 2007. Come scrissero i giornali, il Tribunale di Napoli lo diede in gestione alla società “Castello di Miasino srl”, per eventi e cerimonie. A quella società, tuttavia, faceva capo la moglie di Galasso. Otto anni dopo, fu l’Agenzia delle Entrate a capire che dietro quel passaggio di consegne c’era qualcosa di strano. I coniugi Galasso, insomma, «erano usciti dalla porta principale e rientrati dalla finestra, rimanendo di fatto i gestori del bene». Dopo molti colpi di scena e vari ricorsi in Tribunale, il castello di Miasino è stato sottratto definitivamente alla disponibilità dei Galasso nel 2016 dall’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati. E ora per la casa del “buen retiro” del marchese sta per iniziare una nuova storia.

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Verrà ristrutturato e avrà in futuro una fruizione pubblica e sociale, come luogo di cultura, la cultura della legalità. La Regione Piemonte, infatti, in questi giorni ha affidato i lavori di riqualificazione dell’immobile, compiendo così quel passo fondamentale per l’assegnazione del bene. Per arrivare a fare del castello di Solaroli di Briona un «luogo del riscatto» morale e civile della comunità, come è stato detto, si è dovuto però assistere a un incredibile pasticcio all’italiana, sia pure con lieto fine, passando dalle pagine seducenti di Salgari, e del Risorgimento, alle storie della criminalità organizzata e della burocrazia pubblica. Le ha riassunte l’uomo che, grazie alle sue battaglie, ha indotto la Regione Piemonte a sbloccare la vicenda: il consigliere regionale (del Partito democratico) Domenico Rossi. «Tra tutti i beni confiscati presenti in Piemonte», ha detto qualche tempo fa, «ce n’è uno con un valore e una storia particolari: il Castello di Miasino. Pur essendo stato confiscato al boss della camorra Pasquale Galasso, per anni è restato nelle mani di una società riconducibile alla moglie di Galasso. Per anni non si è riusciti a liberare il castello e renderlo disponibile per la collettività. Tra i tanti e diversi motivi che avevano portato a questa situazione, uno mi aveva colpito in maniera particolare: quando l’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati chiese, nel 2012, a Comuni, Province e Regione se ci fosse qualcuno interessato a farsi carico del bene, nessuno rispose affermativamente. Ci fu rabbia e delusione per quella mancata risposta, che però presto si trasformarono in un progetto: fare in modo che in Regione arrivasse qualcuno in grado di rispondere sì».

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Rossi, successivamente, nell’ottobre del 2014 ha presentato una mozione che impegnava «la Giunta a dare risposta affermativa a quella richiesta». E la Giunta regionale piemontese, nel febbraio del 2015, «adottò una delibera che dava gambe a quella richiesta del Consiglio e, a distanza di un anno, agli inizi del 2016 il castello fu liberato». Ora cominceranno i lavori di ristrutturazione. E la dimora di Solaroli, l’uomo che volle farsi (quasi) re, ritroverà, o almeno si spera, il suo passato salgariano, dimenticando quello camorristico. 

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