Nolano, scissioni e faide nei clan dopo il tramonto dei vecchi boss

Nolano, scissioni e faide nei clan dopo il tramonto dei vecchi boss
di Dario Sautto
Lunedì 28 Marzo 2022, 10:16
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Da centro di potere della camorra a polo economico di riferimento per tutta la provincia. Fin dagli anni 70, l'area nolana ha vissuto questa sua contraddizione, che si trascina da ormai mezzo secolo tra faide sanguinose e nuovi equilibri, tra rilancio commerciale e boom economico. Lì dove ci sono il denaro e gli affari puliti, con l'interporto e il mercato all'ingrosso principali del Napoletano, i clan tentano sempre di allungare le loro mani, spesso approfittando anche della complicità di politici «avvicinabili» e di prestanome che, dal nulla, negli anni 90 hanno fondato veri e propri imperi imprenditoriali.

Una storia che si ripete nei decenni e che era iniziata negli anni 50, quando a emergere era stato Pasquale Simonetti, detto Pascalone e Nola, uno dei primi veri boss di camorra del dopoguerra, poi ucciso nel 1955 dopo aver sposato la stabiese Pupetta Maresca che ne vendicò il delitto. Altri tempi, altra camorra.

Il «salto di qualità» arriva negli anni 70, con la nascita della Nuova Camorra Organizzata teorizzata da Raffaele Cutolo, il «professore» di Ottaviano che dal carcere fondò il primo vero cartello criminale. In carcere è morto da irriducibile un anno fa: non si è mai pentito e ha portato con sé nella tomba i suoi segreti. A Cutolo si contrappose il suo «vicino di casa» Carmine Alfieri da Saviano che, con Pasquale Galasso da Poggiomarino, si alleò con una serie di clan satelliti formando la Nuova Famiglia, alla quale era legato anche Mario Fabbrocino, detto «'o gravunaro», quello che diventò il «boss dei due mondi» per la sua lunga latitanza in sud America.

Ne nacque uno scontro aspro, con centinaia di morti ogni anno. In quel periodo, il bollettino degli agguati era quotidiano.

Nel 1982, la faida toccò il suo apice con 237 morti in un solo anno. Una carneficina. A farne le spese erano fiancheggiatori, parenti, affiliati, nelle più classiche vendette trasversali. Tante furono anche le vittime innocenti. Tra il contrabbando di sigarette e il boom dello spaccio di droga, in quel periodo il vero business era la corsa ai fondi per la ricostruzione post sisma. Necessario, però, era l'appoggio della politica. Negli anni 90, dopo il loro pentimento, Alfieri e Galasso raccontarono i loro intrecci con la politica e i leader dell'epoca della Dc, con il solo ex senatore Francesco Patriarca che pagò con una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.

Se la camorra di quell'epoca sembra solo un lontano ricordo, i clan che affollano l'area nolana fino al Vesuviano sono in realtà la diretta conseguenza di quelle sanguinose faide e di quelle alleanze. Il principale sodalizio criminale della zona è ancora oggi il clan Fabbrocino, fondato dal boss Mario Fabbrocino, morto in carcere nel 2019 mentre scontava l'ergastolo. Arrestato per la strage di Sant'Alessandro a Torre Annunziata, fu assolto in appello perché come dichiarò anni dopo Carmine Alfieri comprò la sentenza di secondo grado. Scarcerato nel 1987 per problemi di salute, si rese latitante per dieci anni. Nel 1997 fu arrestato a Buenos Aires ed estradato in Italia. Scarcerato per decorrenza dei termini, nuovamente arrestato e tornato libero, riuscì a rendersi ancora irreperibile fino al 2005. La forte influenza del suo clan in zona è alla base dell'invio della Commissione d'accesso al Comune di San Giuseppe Vesuviano, che a giorni attende l'esito sul possibile scioglimento per infiltrazioni camorristiche dell'amministrazione guidata dal leghista Vincenzo Catapano, come già richiesto al ministro Luciana Lamorgese dal prefetto di Napoli, Claudio Palomba.

La definitiva ascesa di Fabbrocino avvenne nel 1990, quando ottenne il via libera dalla Ndrangheta milanese per ammazzare Roberto Cutolo, figlio del capo della Nco, che da tempo viveva in soggiorno obbligato a Tradate (Varese). Nello scambio di favori, fu ucciso a San Giuseppe Vesuviano anche Salvatore Batti, detto «'o milanese», che era entrato in competizione con le cosche Flachi e Cocco Trovato per la gestione dei traffici illeciti a Milano. Nel frattempo, il clan Batti raccontano le inchieste dell'Antimafia è rinato proprio tra San Giuseppe Vesuviano e Terzigno, attorno al boss Alfredo Batti, figlio di quel Salvatore «'o milanese». Alleato dei Fabbrocino, gestirebbe forniture di armi e droga a Ottaviano.

Altri fedelissimi di Fabbrocino ed ex alleati della Nuova Famiglia sono i fratelli Russo, che dominano la scena a Nola e dintorni dopo il pentimento di Alfieri. Secondo gli inquirenti, dopo l'arresto di tutti i vecchi boss, il clan è gestito dalla nuova generazione dei Russo, alleata dei Mazzarella di Napoli, che è stata colpita di recente da una serie di sequestri di beni per milioni di euro.

Più a sud, tra Striano e Poggiomarino, negli ultimi anni è scoppiata una faida per la gestione delle piazze di spaccio e delle estorsioni sempre tra reduci dei due grandi schieramenti di camorra degli anni 80. Fin dagli anni 90, dopo il pentimento di Galasso a Poggiomarino ha gestito il malaffare il boss Antonio Giugliano, detto o savariello, alleato dei Fabbrocino. Con il capoclan detenuto, negli ultimi anni, poco prima della sua scarcerazione, l'Antimafia ha registrato l'interesse su quel territorio da parte di Rosario Giugliano, detto o minorenne, non imparentato nonostante lo stesso cognome. Lui, ex killer arruolato non ancora maggiorenne nella Nuova Famiglia, avrebbe provato a imporre pizzo e forniture di droga a suon di minacce e agguati, fino a un anno fa, quando un blitz dei carabinieri ha sgominato entrambi i clan Giugliano. Il nuovo gruppo ruotava attorno ad Alfonso Manzella, figliastro di Rosario Giugliano, cantante neomelodico noto con il nome d'arte Zuccherino.

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