«Con la guerra in Ucraina avevamo enormi difficoltà a importare il grano e per settimane i nostri carichi sono rimasti bloccati sulle navi nel porto di Odessa. Ora invece accade il contrario: non riusciamo più a consegnare la farina da noi prodotta ai distributori dei Paesi del Far East, lungo la rotta che attraverso Suez permette di arrivare a quella parte del mondo. Per l'azienda si tratta del 20% del totale dell'export». Antimo Caputo, amministratore delegato dell'azienda napoletana di famiglia, leader assoluta nelle farine in Italia, cerca di prenderla con filosofia, com'è nel suo carattere. Ma sa bene che quanto sta accadendo nel Mar Rosso, con la conseguente drastica riduzione dei trasporti marittimi attraverso Suez, impatterà non poco sui conti e sui costi del suo gruppo. È vero, in questo caso la criticità è in uscita rispetto all'allarme import lanciato da Bankitalia in queste ore ma in fondo la sostanza cambia poco: «Il prezzo dei noli per il trasporto è già salito - spiega Caputo - e oltre tutto non arrivano container vuoti da poter caricare di merce per le spedizioni nel Far East. I distributori di quei Paesi sono costretti a loro volta a fronteggiare ritardi di 20-30 giorni nelle consegne e impongono ovviamente un prezzo comprensivo anche dei ritardi. Siamo costretti a spendere di più proprio ora che eravamo concentrati sulla riduzione dei costi per il consumatore finale contrastando l'impennata dell'inflazione. Temo che dovremo abituarci ad una mostruosa variabilità di scenari economici ma questo ci fa immaginare che il 2024 non sarà un anno facile, se continua così».
Le parole dell'imprenditore nel giorno in cui anche da Confindustria arriva un allarme importante su quanto sta accadendo.
E al Sud? Qui sono la cerealicoltura, la meccanica e la moda i più esposti almeno nell'immediato alle conseguenze degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali in transito nel Mar Rosso. «Sono colpiti soprattutto i comparti che hanno tempi di produzione e di consegna ad alta velocità», spiega Salvio Capasso, capo del Servizio economia, imprese e territorio di Srm, la Società di ricerche e studi sul Mezzogiorno collegata a Intesa Sanpaolo. E aggiunge: «Mentre crisi come quella dei chip hanno avuto un impatto molto forte soprattutto sui grandi gruppi industriali del Nord, a partire dalla filiera dell'automotive, in questo caso nel mirino rischiano di finire settori legati a prodotti finiti o semilavorati di più immediata distribuzione, per i quali uno stop prolungato delle consegne può comportare una grossa perdita di fatturato, per non parlare del danno in termini di credibilità e affidabilità internazionale dell'azienda». Per le aziende del Sud che operano a ogni livello nella moda, ad esempio, l'impatto potrebbe essere letale se si considera che dall'Estremo Oriente arriva anche l'80% del prodotto finito, come conferma l'industriale napoletano Carlo Palmieri. Secondo le stime di Bankitalia (su dati 2022), «un terzo delle importazioni italiane nella filiera della moda arriva attraverso il Mar Rosso» e il trasporto navale attraverso lo stesso mare riguarda quasi il 16 per cento delle importazioni italiane di beni in valore. «Su questa rotta transita una larga parte degli acquisti di beni dalla Cina (secondo mercato di approvvigionamento del nostro Paese dopo la Germania), dalle altre economie dell'Asia orientale e dai paesi del Golfo Persico esportatori di materie prime energetiche». Non a caso, i primi segnali di criticità sono già arrivati nei sistemi portuali italiani più attrezzati per l'arrivo dei cargo che trasportano container e il loro smistamento nei porti più piccoli. A Gioia Tauro, punto di riferimento per il Mezzogiorno, si è ridotta l'attività delle aziende che operano nello scalo dopo la decisione di Msc, che gestisce il terminal calabrese, di non navigare più per il canale di Suez. Ma problemi potrebbero nascere anche per gli altri porti specie in termini di ritardi nella consegna delle merci e nell'aumento dei costi di trasporto. È un po' il riflesso, ma con prospettive peggiori, di quanto già accade nelle stime dell'export di questi tempi, un andamento altalenante che la dice lunga sull'incertezza economica globale del momento e su quella italiana in particolare, dominata ancora dalla debolezza della domanda interna. Quella, per intenderci, che continua a penalizzare soprattutto il Mezzogiorno e a rendere difficile la crescita e la riduzione del divario.