Xylella e meteo impazzito, la crisi dell'olio investe il Sud

Xylella e meteo impazzito, la crisi dell'olio investe il Sud
di Luciano Pignataro
Venerdì 15 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 10:23
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Sarà l'ulivo e non la vite la prima vittima simbolica del cambiamento climatico in Italia? A giudicare dalle ultime due annate, assolutamente anomale, che hanno abbassato per la prima volta nella storia per due raccolte consecutive la produzione, sembrerebbe di sì. Anche perché la vite ha dimostrato di sapersi adattare a tutti i climi, dalle temperature torride della Grecia e del Tarantino al freddo della Val d'Aosta e dell'Alsazia. Si adatta, si sposta, cammina il Dio Bacco proveniente dal Caucaso e da sempre in continuo movimento. I mezzi per combattere il cambiamento climatico sono tanti, al punto che può diventare anche un vantaggio: per esempio quest'anno nello Champagne si parla di migliore annata di sempre.
 
Ma torniamo invece all'olivo, la pianta simbolo del Mediterraneo e ritenuta essa stessa confine del termine geografico. Ne 2018 il crollo complessivo della produzione italiana è stata superiore al 40 per cento. A pesare sono stati il gelo invernale di Burian e i venti accompagnati dalla pioggia durante la fioritura che hanno ridimensionato pesantemente i raccolti anche l'Italia è ancora secondo produttore mondiale nel 2018/19. La Puglia si conferma essere la principale regione di produzione, con 87 milioni di chili, nonostante il calo del 58%, mentre al secondo posto si trova la Calabria, con 47 milioni di chili e una riduzione del 34%, e sul gradino più basso del podio c'è la Sicilia dove il taglio è del 25%, per una produzione di 39 milioni di chili, mentre in Campania il raccolto è di 11,5 milioni di chili, in riduzione del 30%. Al centro diminuisce a 11,6 milioni di chili la produzione in Abruzzo (-20%) e a 14,9 milioni di chili nel Lazio (-20%) mentre aumenta a 17,8 milioni di chili in Toscana (+15%) come nel nord dove complessivamente precisa Coldiretti si registra un aumento del 30%. Ma se Roma piange Atene non ride: l'andamento negativo si riflette sulla produzione a livello mondiale dove si registra un forte calo dell'8% dei raccolti per una previsione di poco più di 3 miliardi di chili. Ad influire è anche il crollo della produzione pure in Grecia con circa 240 milioni di chili (-31%) e in Tunisia dove non si dovrebbero superare i 120 milioni di chili (-57%) mentre in Portogallo è praticamente stabile a 130 milioni di chili. In controtendenza la Spagna che si conferma leader mondiale, dove si stimano circa 1,5-1,6 miliardi di chili con un aumento del 23%, oltre la metà della produzione mondiale.

Quali le cause di questo disastro? A parte la Xylella in Puglia, di cui non è ancora facile prevedere e conseguenze, così come avvenne per la fillossera con l'uva alla fine dell'Ottocento arrivata in Campania negli anni Trenta, A pesare in Italia è stata l'ondata di maltempo del 2018 con almeno 25 milioni di piante di ulivo danneggiate dalla Puglia all'Umbria, dall'Abruzzo sino al Lazio con danni fino al 60% in alcune zone particolarmente vocate e la richiesta di rifinanziamento del piano olivicolo nazionale (Pon) da parte dell'Unaprol, l'associazione di categoria dei produttori di olio. Un'esigenza per recuperare il deficit italiano con il piano che prevede di aumentare nei prossimi 4 anni la superficie coltivata da poco più di un milione di ettari a 1,8 milioni di ettari, anche con l'incremento delle aree irrigue con tecniche innovative di risparmio idrico. Si tratta di potenziare una filiera che coinvolge oltre 400mila aziende agricole specializzate in Italia e che può contare sul maggior numero di olio extravergine a denominazione in Europa (43 Dop e 4 Igp) con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo. La filiera è in difficoltà perché questo è stato il secondo anno consecutivo di calo in quanto il 2017 è stato assolutamente siccitoso e tantissime piante sono andate in stress idrico. Insomma, il cambiamento climatico richieste in questo momento interventi strutturali, soprattutto in quelle regioni iperproduttive (Puglia, Sicilia, Calabria e anche Campania), che sono costrette e a giocare sui prezzi bassi a causa della concorrenza dell'olio straniero. Intendiamoci, l'Italia con l'olio e con il grano non è assolutamente autosufficiente ed ha bisogno di importare. Il punto però è che si gioca sulla poca chiarezza in quanto i costi di produzione italiano non sono sostenibili con quelli degli altri paesi del Mediterraneo e il margine per i produttori si restringe sempre di più.
 

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