Dal Gambrinus all'Harry's Bar: «Così non possiamo riaprire»

Dal Gambrinus all'Harry's Bar: «Così non possiamo riaprire»
di Nando Santonastaso
Giovedì 14 Maggio 2020, 08:00 - Ultimo agg. 13:22
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Vincenzo Tranchini, amministratore del ristorante La Bersagliera di Napoli, è categorico: «Non riapriremo lunedì, è una questione di serietà», sbotta. E aggiunge: «La nostra azienda lavora da 101 anni, non possiamo pensare di ricevere le linee guida il 15 o il 16 maggio e ripartire due giorni dopo, come vorrebbe questo governo. Abbiamo aderito alla campagna promossa da Gianluigi Cimmino di Yamamay, Io resto in azienda, perché questo è il nostro posto: metteremo in sicurezza clienti e dipendenti, rispetteremo le distanze ma vogliamo regole chiare e uguali per tutti. A Napoli, però, la metà, forse più, dei ristoranti rischia di non riaprire più: che ne sarà dei locali piccoli, con due soli tavoli, come quelli sorti in abbondanza negli ultimi anni nel centro storico?».

Cristina Bowerman, chef stellata di Roma, è ancora più pessimista: «Nella Capitale assicura - resteremo chiusi quasi tutti lunedì, stellati o meno. Non si può ripartire con linee guida note solo 48 ore prima. Come se non bastasse, e parlo per esperienza personale, si fa ancora fatica a trovare guanti e mascherine protettive in quantità adeguata. Molto meglio restare in Cassa integrazione fin quando sarà possibile. Dopo? Non posso escludere problemi per il personale». Più cauto ma in piena sintonia Gianluca D'Agostino, chef stellato del ristorante Veritas di Napoli: «Non credo proprio che riapriremo lunedì prossimo, senza norme certe inutile affrettarsi: una settimana o dieci giorni di chiusura in più contano poco», dice. E aggiunge: «Il problema non è solo la distanza dei tavoli che da noi si può adeguare. Siamo tutti convinti, a partire dal titolare Stefano Giancotti, che sarà la risposta della clientela il vero termometro del nostro futuro. E in questa fase è impossibile azzardare ogni previsione».
 

 

Insomma, parlare di ripartenza lunedì prossimo, per la maggior parte dei ristoranti italiani non sembra avere alcun senso. Dalla navigazione a vista alla chiusura quasi ad oltranza il passo è stato sin troppo breve. Ma basta allargare l'orizzonte ai bar per rendersi conto che lo scenario tra i pubblici esercizi è più o meno lo stesso. Ha fatto rumore l'accusa di Arrigo Cipriani, patron dell'Harry's Bar di Venezia, attivo da 89 anni, che ha parlato di «condizioni demenziali» per riaprire: e lui non lo farà, continuando a restare chiuso come fa ormai da marzo. «Dovrei licenziare almeno 50 degli attuali 75 dipendenti per rispettare le norme sul distanziamento dei tavolini, a questo punto posso anche andare in pensione», ha detto. Ma anche i titolari dello storico Caffè Gambrinus di Napoli non ripartiranno lunedì prossimo e come loro la stragrande maggioranza dei titolari di bar.

«Le imprese non possono sopportare misure insostenibili dal punto di vista economico e organizzativo», ripete da giorni Lino Stoppani, presidente nazionale di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) di Confcommercio, una voce accreditata in un mondo della ristorazione che in Italia conta oltre 112mila attività imprenditoriali. «Abbiamo ribadito ai ministri Speranza, Catalfo e Patuanelli tutte le nostre perplessità e proposto non solo di prendere in considerazione il Protocollo di sicurezza preparato da Fipe ma anche di individuare altre scadenze per consentire alle imprese di riorganizzarsi». Ovviamente, in questa incertezza la preoccupazione maggiore riguarda il dopo Cassa integrazione e sussidi, per imprese e dipendenti: «Serviranno indennizzi, strumenti di sostegno, interventi per le locazioni, misure di protezione sociale, ma bisognerà deciderle per tempo, non quando potrebbe essere troppo tardi»; insiste Stoppani.
 

Di sicuro, l'Italia della ristorazione sembra compatta nel non affrettarsi a garantire bevande e menu alla clientela, almeno no da lunedì. La Confesercenti di Lecce, ad esempio, ha già chiarito che molti ristoranti della provincia non riusciranno ad adeguarsi alle prescrizioni di Inail e Istituto superiore di sanità: «Le norme sono confuse ma anche anti-economiche: si tratterebbe di lavorare in perdita, a meno che i ristoranti non raddoppino i prezzi» ha detto il presidente Luigi Muci. Ma anche a Bolzano che da giorni scalpita per ripartire e che lunedì dovrebbe farlo, i dubbi sono tutt'altro che chiariti: al punto che nei giorni scorsi molti esercenti di bar e locali giravano con il metro in tasca per misurare la distanza da applicare e decidere come disporre tavolini e servizi. Ad Imperia è stata invece promossa una protesta con tanto di drappo nero esposto davanti o all'interno di bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie, gelaterie, stabilimenti balneari e perfino discoteche. Ma ormai da Rimini a Pesaro, da Napoli a Roma, la fibrillazione della categoria è esplosa in piena regola in tutto il Paese.

E a proposito di balneatori anche per questa categoria le tensioni sono già altissime. «Noi non dobbiamo riaprire il 18 maggio ma anche per noi si pone il problema di avere norme certe per poter riaprire gli stabilimenti», dice Mario Morra, già presidente del Sindacato italiano balneatori e titolare di un noto lido a Napoli.
E spiega: «Abbiamo fiducia nel presidente della Regione, attendiamo da lui le indicazioni su come procedere. Di sicuro solo il 30% dei titolari di concessione potrà sperare nella ripartenza: le spiagge attrezzabili per rispettare le norme di sicurezza sono poche in Campania, certamente non a Capri Ischia e Procida. Mi auguro che si possa salvare almeno parte della stagione, riaprendo per l'ultimo week end di maggio». 

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