Sono da poco passate le 20, quando il professor Giorgio Montanari saluta i colleghi e raggiunge il parcheggio dell’ospedale per recuperare il suo Maggiolino verde petrolio. Sale in auto e fa in tempo a partire. Appena pochi metri. Poi, all’improvviso, sette colpi di pistola. Il direttore della clinica Ostetrico-ginecologica del Policlinico universitario modenese viene ammazzato in pochi secondi. È il 1981 e da allora il caso è rimasto irrisolto. Nessun colpevole per la morte del primario, nonostante le indagini siano state riaperte più volte. A distanza di 42 anni, però, potrebbe esserci una svolta. Un nuovo fascicolo di inchiesta è stato aperto nei giorni scorsi dalla procura di Modena e sembrerebbero esserci già dei nomi iscritti nel registro degli indagati. L’ipotesi, più volte presa in considerazione nei decenni, è che il delitto sia stato maturato in ambienti sanitari. In particolare, non è da escludere che possano avere giocato un ruolo decisivo le posizioni progressiste del medico, allora 51enne, sul tema dell’aborto.
LE LETTERE MINATORIE
Montanari viene ucciso negli anni delle polemiche sulla legge 194, entrata in vigore nel 1978.
LA SAGOMA DELL’ASSASSINO
La sera in cui viene ammazzato non ci sono testimoni diretti. Il killer lo aspetta nascosto nel buio, a pochi metri distanza dall’auto che Montanari ha lasciato lì da alcuni giorni. Chiunque l’abbia ucciso non può sapere che proprio in quel momento il professore deciderà di spostarla, eppure deve essere pronto. Perché non appena il medico sale a bordo del Maggiolino e parte, comincia una raffica di spari. Sette colpi, di cui l’ultimo quello fatale. I proiettili infrangono il vetro del finestrino e raggiungono l’uomo al petto e a una spalla. Non c’è più niente da fare. Una collega, tecnica del laboratorio di analisi del Policlinico, arriva sul posto pochi secondi dopo. Sta andando a prendere la sua auto, parcheggiata accanto a quella del professore, e nota subito il corpo. Fa in tempo a scorgere una sagoma che sparisce nel buio: non riesce a vedere di chi si tratta, ma quello probabilmente è l’assassino.
LA VEDOVA
Le indagini vengono chiuse nel 1991 senza nessun colpevole, per poi essere riaperte nel 2017 dopo il ritrovamento di una pistola compatibile con quella utilizzata per l’omicidio - una calibro 45 - venduta all’asta dall’ufficio corpi di reato. Ma anche in quel caso, l’inchiesta voluta dall’allora procuratore di Modena Paolo Giovagnoli non porta a nulla, e le indagini vengono chiuse nuovamente nel 2020. Adesso, però, finalmente potrebbe arrivare una svolta. C’è una nuova speranza per la moglie del primario Anna Ponti, oggi 91enne, che da oltre 40 anni si batte per avere giustizia. Da sempre certa che la natura del delitto sia da individuarsi nell’ambiente ospedaliero, la vedova ha chiesto a lungo la riapertura delle indagini, opponendosi fortemente a tutte le altre piste – come quella legata al Policlinico di Messina, dove il medico lavorava prima di arrivare a Modena, o un’altra su una presunta relazione clandestina – su cui si è investigato nel corso del tempo. Le nuove tecnologie e gli ulteriori elementi emersi sul caso potrebbero ricostruire tutti i dettagli di un caso rimasto irrisolto per quattro decenni e portare all’identità dell’assassino. Alcuni medici sarebbero già stati ascoltati dagli inquirenti, nei giorni scorsi, in qualità di persone informate dei fatti. Anche chi risulta indagato apparterrebbe ad ambienti sanitari.