Vigili assenti a Roma, il castigo e il premio

di Virman Cusenza
Venerdì 2 Gennaio 2015, 23:11 - Ultimo agg. 3 Gennaio, 08:57
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Nicolaj Gogol, in un suo celebre romanzo, le definì le «anime morte». Dipendenti che figurano in organico ma esistono solo sulla carta. Numeri improduttivi che, aggiungiamo oggi noi, gravano sulla collettività. Anzi, la danneggiano.



Quanto è successo a Roma con la diserzione di massa di 835 vigili su mille la notte di Capodanno però è peggio di quanto accadeva nella Russia ottocentesca. E poco conta che lo scrittore sia venuto ad ispirarsi sui colli romani di Albano. La reincarnazione odierna di quelle anime morte oggi porta la divisa e rivendica, per bocca del suo sindacato, la percentuale di assenti come «normale in una stagione di freddo». Nemmeno fossimo in Siberia (per non parlare della corsa in massa, nello stesso giorno, a donare sangue con uno zelo da soci fondatori dell’Avis).



A cosa dobbiamo l’incredibile performance dei vigili urbani capitolini? Essi protestano contro le sacrosante norme sul salario accessorio, ovvero i criteri che legano la retribuzione alla produttività. Sembra incredibile ma pagare un dipendente sulla base dei servizi che offre (o non offre) nella nostra penisola è ancora un tabù. Così la stupefacente miscela di statalismo, clientelismo, familismo e assenteismo, prende il volto dell’altra faccia di Mafia Capitale.



Quella terra di mezzo in cui senza scomodare il 416 bis e i metodi di Carminati, sbarca il lunario a spese dei romani per giunta infliggendo loro un disservizio o di fatto attentando alla loro sicurezza (i mancati controlli a Capodanno). Speriamo che affiorino le gravi responsabilità di quei medici che hanno stilato i certificati di comodo e che il clamore scandito da esposti alla Procura, accertamenti del Garante degli scioperi e ispezioni della Funzione pubblica adesso produca qualche risultato. Non sembri azzardato evocare l’associazione per delinquere ai danni del cittadino per questo manipolo di assenteisti. Di sicuro, il minimo è attendersi punizioni esemplari oltre che tweet indignati.



Va riconosciuto che l’amministrazione Marino sta combattendo una battaglia proprio sul salario di merito per i suoi dipendenti e che dal successo di questa riforma si misurerà anche il grado di civiltà raggiunto nel pubblico impiego.



Che, proprio perché annovera fior di dipendenti zelanti ed efficienti, non può accettare l’onta della neo-jacquerie urbana. Una rivolta contro il principio del premio a chi lavora di più e meglio. La miglior risposta, in attesa della cacciata dai ranghi dell’amministrazione dei fannulloni, sarebbe il salario di demerito.



Le norme della riforma Brunetta sulla Pubblica amministrazione, attendono ancora attuazione. Sappiamo che il governo non ha potuto affrontare la questione ormai urgentissima della licenziabilità nel pubblico impiego nel decreto sul Jobs Act per il timore delle inesorabili sentenze della Consulta. E che per questo ha preferito rinviare la questione al più organico intervento sulla Pubblica amministrazione. Pazienza. Ma non possiamo più consentire che una foresta di norme protegga i fannulloni e la macchina sindacale che ancora li difende. Suggeriamo dunque al premier Renzi un’operazione capillare che nessuno escluda dall’estensione dei criteri di uno Stato moderno che renda il pubblico competitivo quanto il privato. Non dimentichi per esempio le municipalizzate con le loro sacche di inefficienza.



Forse, solo così il Capodanno romano dei vigili assenteisti potrà trasformarsi nell’alba di un Paese che non somigli più alla Russia delle anime morte.