Nascite in crisi in Italia, dal Sud una speranza: cresce la voglia di bimbi

Il Mezzogiorno torna oltre la media per la fecondità: non accadeva dal 2004

Culle per neonati
Culle per neonati
Marco Espositodi Marco Esposito
Venerdì 7 Aprile 2023, 23:57 - Ultimo agg. 9 Aprile, 10:21
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L’Italia per uscire dal gelo demografico deve guardare al Sud. Nell’anno peggiore di sempre per le nascite ci sono soltanto due regioni con una chiara inversione di tendenza sia per culle sia per desiderio di figli: la Campania e la Calabria, rispettivamente con 1.200 e con 350 neonati in più rispetto al 2021. Grazie a queste due regioni, il Mezzogiorno nel suo insieme nel 2022 vede le nascite in aumento e l’indice di fecondità (cioè il numero di figli per donna nell’arco della vita) tornare sopra la media nazionale di 1,24 figli a 1,26.

Non accadeva dal 2004, da quando cioè il Mezzogiorno era entrato in una sorta di “depressione” per la natalità, che nel decennio 2007-2017 lo ha visto precipitare all’ultimo posto fra le macroaree geografiche, fenomeno mai verificatosi in precedenza e spiegabile in larga misura con il peso marginale nel meridione della popolazione straniera, cioè quella con una fecondità maggiore rispetto agli italiani, natalità che però si è rapidamente allineata ai valori generali a conferma che il desiderio di figli è un fenomeno in apparenza individuale ma in realtà sociale. E, in sostanza, meno dipendente di quanto si creda dalla fornitura di servizi e dalle occasioni di lavoro, sebbene queste restino necessarie. Lo conferma il confronto dei tassi di fecondità di due regioni opposte per opportunità e qualità dei servizi: Emilia Romagna e Calabria.

Il tasso di fecondità infatti calcolato dall’Istat per il 2022 è di 1,27 figli in Emilia Romagna (dato stabile sul 2021) e di 1,28 in Calabria (in miglioramento di 0,05 punti). 

Certo, nel Sud restano aree con una drammatica denatalità: la Sardegna con appena 0,95 figli per donna e la Basilicata poco sopra a 1,09 sono su parametri che portano al rapido dimezzamento della popolazione, anche senza considerare l’emigrazione. Tuttavia vedere la provincia più popolosa del Mezzogiorno, quella di Napoli, risalire da 1,33 figli del 2021 a 1,38 del 2022 fa accendere una speranza soprattutto nel confronto con le altre aree metropolitane visto che Torino nel 2022 è scesa da 1,23 a 1,20; Milano è scivolata da 1,24 a 1,23; Roma è arretrata da 1,18 a 1,16 figli per donna. 

Sia chiaro: per l’equilibrio demografico sarebbero necessari 2,10 figli per donna (e forse sarebbe meglio iniziare a dire per coppia, perché la responsabilità genitoriale non è di un solo sesso) e nessuna provincia italiana vi si avvicina. Anzi: la migliore, Bolzano, è calata da 1,72 figli per coppia del 2021 a 1,65. Ma proprio per questo è importante comprendere cosa stia accadendo al Sud e valorizzare i fenomeni di ripresa in corso, che riguardano in particolare le province di Caserta, Napoli, Reggio Calabria, Crotone e, in Sicilia, Agrigento. 

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Il Mezzogiorno, con il bilancio demografico del 2022, rappresenta il 33,66% della popolazione residente in Italia. Una quota in calo da decenni per i flussi migratori interni, perennemente negativi. E tuttavia non per tutte le classi d’età la quota è 33,66%. Se si rielaborano i dati Istat si scopre che la generazione italiana più “meridionale” è quella di chi ha 21 anni al primo gennaio 2023 con il 36,39%. Sono giovani non ancora risucchiati dalla migrazione per studio o per lavoro, cui sarebbe necessario dare segnali che li spingano a restare. Man mano che si sale di età, la quota di meridionali scende e oltre i 44 anni si va sotto la media di 33,66% fino a un minimo di 32% tondi a 50 anni. Per le persone più avanti in età la quota di meridionali torna a salire, per i rientri dal Nord dei pensionati, con un nuovo “picco” a 34,80% a 68 anni. Poi però iniziano a pesare le peggiori strutture sanitarie, le malattie croniche legate agli stili di vita e, in sostanza, la minore aspettativa di vita. Per cui la quota dei meridionali tra i vecchi torna a scendere fino al minimo assoluto di 27,70% a 97 anni. 

Ma che accade nelle classi d’età più giovani? Qui l’analisi si fa interessante perché la gelata demografica del Mezzogiorno del 2007-2017 ha fatto assottigliare la quota di bambini meridionali oggi in età di scuola elementare con un minimo del 33,87% a nove anni (sempre con la fotografia al primo gennaio 2023). Ma all’età di tre anni la quota di meridionali è già del 35,25% e quella dei neonati (cioè dei nati nel 2022) sale a 35,86%. 

Numeri che fanno riferimento ai “residenti in Italia” indipendentemente dalla cittadinanza. Se si sottraggono gli stranieri, la quota di neonati meridionali con cittadinanza italiana sfiora il 40% e per l’esattezza è del 39,43%. A conferma che il futuro dell’Italia è ancora in larga parte al Sud e che i servizi, a partire dagli asili nido, dovrebbero seguire la popolazione. Non il Pil. 

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