Afghanistan, lo scrittore Enaiatollah Akbari: «Così i talebani ci impediranno di sognare il futuro»

Afghanistan, lo scrittore Enaiatollah Akbari: «Così i talebani ci impediranno di sognare il futuro»
di Emilio Fabio Torsello
Mercoledì 18 Agosto 2021, 07:58 - Ultimo agg. 10:36
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È fuggito a piedi dall'Afghanistan a soli dieci anni. Ha attraversato l'Iran, la Turchia, la Grecia e il Mediterraneo. Il suo nome è Enaiatollah Akbari e oggi vive in Italia, dove si è laureato in Scienze Politiche e lavora in una società che collabora con l'università di Torino. Enaiatollah ha scritto due imperdibili libri in cui racconta sia il viaggio verso l'Europa sia le vicende di chi è rimasto in Afghanistan: due libri che hanno venduto moltissimo, soprattutto tra i giovani: «Nel mare ci sono i coccodrilli» e «Storia di un figlio», entrambi scritti insieme a Fabio Geda e pubblicati da Baldini+Castoldi.

Enaiatollah, che notizie hai sulla situazione in Afghanistan?
«In Afghanistan i talebani stanno già chiudendo le radio, hanno minacciato gli youtuber che erano in contatto con la parte povera della società e raccontavano la vita quotidiana degli afghani - mi riferisco soprattutto alle ragazze che andavano nelle tendopoli a parlare con i profughi interni. I talebani stanno già iniziando a controllare le comunicazioni e io stesso riesco a mettermi in contatto con molte meno persone rispetto anche solo a qualche giorno fa.

Con il tempo arriveranno sempre meno notizie dall'Afghanistan».

Abbiamo visto molti giovani chiedere aiuto all'Occidente via social.
«Ci sono ragazzi nati sotto la democrazia e adesso si ritroveranno ad avere a che fare con i talebani. La democrazia ha mille difetti, ma concede la possibilità ai propri cittadini di migliorarla grazie al contributo del singolo. Con i talebani morendo la democrazia il cittadino perderà il suo senso e dovrà adattarsi a guardare non verso il futuro ma verso il passato: come viveva Maometto milletrecento anni fa. Ma in milletrecento anni anche una pietra viene levigata dal vento: pensare di tornare a una società di quel tipo è assurdo. Ci impediranno di sognare un futuro».

Eppure abbiamo visto anche molti talebani giovanissimi.
«Esatto, questo perché l'attenzione internazionale si è sempre concentrata sulle maggiori città dell'Afghanistan Mazar-i-Sharif, Herat, Kabul ma l'Afghanistan rurale non si è mai sviluppato al passo dei grandi centri. Penso ad esempio alle scuole: chi viveva nelle grandi città in questi vent'anni si può dire che sia figlio del libro e della penna, ma chi viveva nei territori più periferici è stato dimenticato dai progetti dello Stato. E così ci sono state migliaia di giovani nati sotto la democrazia ma istruiti come talebani, proprio a causa della poca attenzione da parte dello Stato».

E per la tua etnia gli Hazara come sono stati questi vent'anni?
«La mia etnia è sempre stata perseguitata, da secoli. Eppure rappresentiamo il 19% della popolazione. Nel libro Nel mare ci sono i coccodrilli, scritto insieme a Fabio Geda, ricordo un detto dei talebani: Ai tagiki il Tagikistan, agli uzbeki l'Uzbekistan, agli hazara il Goristan. E Gor significa tomba'. Questo vi dà un'idea della nostra situazione. L'arrivo della Coalizione per noi è stata una tregua, una boccata di ossigeno. Prima del 2001, ad esempio, in un villaggio di cento abitanti c'era una sola persona che sapeva leggere e scrivere. Oggi invece in ogni casa c'è chi sa leggere e scrivere e questo non perché l'Occidente ci abbia insegnato qualcosa, ma perché noi stessi abbiamo creduto nella democrazia e nell'istruzione, costruendo da soli scuole e centri di studio e autotassandoci per poter pagare i professori. I nostri genitori hanno costruito tutto questo, in questi quindici - vent'anni: nei nostri villaggi non c'erano battaglie e noi stessi abbiamo preferito la penna alla guerra. Se ci sarà una politica nel prossimo futuro, quasi certamente gli Hazara non saranno rappresentati».

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Nel suo discorso, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha scaricato tante colpe per la situazione attuale sugli afgani.
«Nel momento in cui gli Stati Uniti hanno legittimato i talebani come forza politica ai colloqui di pace, adesso non possono andarsene dicendo che la crisi è colpa degli afgani. Dopo vent'anni Biden avrebbe potuto fare un discorso trionfalistico e invece è stato costretto a giustificarsi. Questo dice tutto. E l'America non ha tradito solo il popolo afgano ma anche i suoi alleati».

Che errori ha commesso la politica afgana?
«La politica del mio Paese ha fatto tantissimi errori. Ma è stato l'Occidente a insegnare ai nostri politici a commettere quegli errori. L'Occidente ha versato milioni di dollari nelle tasche dei diversi rappresentanti locali per arginare o contenere l'avanzata talebana: io ti pago, tu convinci i pashtun a non avanzare. L'Occidente ha instaurato e rafforzato la corruzione: invece di avviare programmi di istruzione, si è preferito gestire tutto con i soldi. C'è poi da dire che i leader politici scelti dall'Occidente non sono stati all'altezza: si è sempre trattato non di persone democraticamente elette ma di fantocci».

L'Afghanistan potrebbe subire altri interventi militari esterni? Penso adesso a Russia e Cina.
«Come diceva Nietzche: Guai se tocchi la savana, la savana si aggiusta da sola. Per l'Afghanistan però non so quanto sarà vero perché ormai sono più di quarant'anni che viviamo in una situazione di guerra o di rischio di un ritorno alla guerra e siamo stanchi. Una speranza potrebbe venire dal Panjshir che non è stato ancora conquistato. Per quel che riguarda la Russia e la Cina, vorrei spostare l'attenzione sul Pakistan, un paese che dopo la disfatta della Russia si è arricchito grazie ai lasciti della guerra: risorse, soldi, armi, strutture, mezzi di trasporto. E anche oggi ci sono trilioni di dollari di beni lasciati in Afghanistan: il Pakistan è lì, attende dietro l'angolo, pronto a intervenire».
 

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