Covid in Germania, meno contagi ma più divieti dell'Italia: e cresce l'indice Rt

Covid in Germania, meno contagi ma più divieti dell'Italia: e cresce l'indice Rt
di Marco Esposito
Martedì 15 Dicembre 2020, 11:03 - Ultimo agg. 15:33
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Leggi Germania e pensi organizzazione. E invece i tedeschi hanno affrontato la pandemia dando spazio alla fantasia, con scelte pragmatiche e anche confidando un po' sulla fortuna. Durante la prima ondata ha funzionato: pochi casi e poche vittime. Poi però qualcosa si è inceppato e la Germania ha pagato una sua storica caratteristica, la frammentazione. La Germania unita vista da fuori è un colosso di 83 milioni di abitanti con una guida quanto mai salda, quella di Angela Merkel. È al governo dal 2005, anno in cui Giuseppe Conte scriveva un commentario del Codice civile. Ma l'unità è di facciata: la Costituzione tedesca lascia ampio spazio all'autonomia dei sedici Länder e «le misure contro le malattie dell'uomo e degli animali, infettive e pericolose per la collettività» rientrano nella legislazione cosiddetta concorrente, dove cioè il potere è dei territori con il limite delle norme generali federali. Un sistema non dissimile da quello italiano e che difatti ha portato, in Italia come in Germania, continui contrasti fra centro e periferia. E se Conte si è trovato a fronteggiare le bizze dell'Abruzzo che voleva cambiare colore in autonomia, di Bolzano e di Aosta che hanno approvato una legge per disapplicare i Dpcm, così la Merkel ogni volta che ha provato a varare un lockdown - anche leggero, con coprifuoco alle 23 - si è trovata contro i governi locali che hanno addirittura fatto ricorso (e vinto in tribunale) contro misure a loro dire lesive della propria autonomia. Finché, quando i morti hanno superato quota 500 al giorno, i presidenti dei Länder hanno dovuto convenire che la stretta chiesta dalla Merkel era indifferibile. E così la Germania si appresta ad affrontare il Natale con più divieti dell'Italia, pur contando ancora meno contagi, sia in assoluto sia ovviamente in rapporto alla popolazione. 

Eppure era cominciata bene.

E in un modo che smentisce la visione di popolo organizzato ma un po' ottuso che abbiamo noi italiani dei tedeschi. Era partita, cioè, all'insegna della fantasia e dell'iniziativa individuale. La storia l'ha raccontata il medico tedesco Dagmar Rinnenburger sulla rivista «Salute internazionale». Appena arrivano le notizie dei primi casi di Coronavirus dall'Italia, tre medici del Divi (la società di medicina d'urgenza) e un epidemiologo del Koch Institut, l'organizzazione del ministero federale della Salute che si occupa del controllo e della prevenzione delle malattie, di loro iniziativa si rivolgono a Robert Klosko, un comunicatore di Monaco noto per aver promosso un marchio Bio dei prodotti della Baviera. I quattro chiedono a Klosko se può realizzare in tempi rapidissimi un registro virtuale di tutti i letti di terapia intensiva attivi in Germania. Klosko interrompe le sue attività, coinvolge il programmatore Florian Haeusler e il 17 marzo il registro è online con nomi e numeri di telefono delle persone da contattare per i posti in terapia intensiva. In Germania, non diversamente dall'Italia, per spendere soldi pubblici servono gare, affidamenti e non di rado bisogna attendere i tempi dei ricorsi. Ma con l'emergenza in atto il ministro della Salute della Germania Jens Spahn, uno spilungone quarantenne, invece di sentirsi scavalcato riconosce ufficialmente lo strumento e ne fa scrivere il regolamento. Quella sera stessa la televisione annuncia l'esistenza di un registro che aiuta i medici a trovare posto in terapia intensiva. Klosko, sommerso dai clic, deve aggiornare il server. Intanto diventa «l'eroe invisibile» della lotta alla pandemia secondo la definizione del mensile tedesco «Cicero».

Certo, la fantasia e creatività mostrata in quei primi giorni faceva perno sul sistema sanitario della Germania che, secondo Eurostat, è il più ricco d'Europa con 8 posti letto ospedalieri (tra pubblico e privato) ogni mille abitanti, mentre l'Italia è a quota 3,2 cioè meno della metà. Inoltre è stata necessaria anche un po' di fortuna perché la prima ondata di contagi in Germania ha colpito persone relativamente giovani, con complicazioni sanitarie quindi modeste, mentre in Lombardia la strategia di portare i malati di Covid con sintomi lievi nelle residenze per anziani si è rivelata clamorosamente errata. Inoltre l'Italia è il paese con più anziani d'Europa, visto che ci sono 173 ultra 65enni ogni cento under quindici, mentre la Germania è seconda a quota 158. 

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Perciò la prima ondata ha visto in Italia uno spaventoso eccesso di mortalità per tutte le cause (più 49% a marzo e più 41% ad aprile secondo il monitoraggio di Eurostat) mentre la Germania se l'era cavata senza incrementi a marzo e con un più 9% in aprile. Tuttavia con la seconda ondata il quadro è cambiato. I numeri dell'Italia restano più pesanti con il record giornaliero di 40.902 contagi il 13 novembre e di 993 vittime il 3 dicembre; tuttavia i valori della Germania non sono più così lontani con 29.875 contagi e 598 vittime entrambi lo scorso 11 dicembre. Anche l'indice di positività è molto simile, con 11,61% secondo il valore più recente in Italia e 10,25% nell'ultima media settimanale in Germania. A segnare la svolta c'è proprio la rilevazione sui posti in terapia intensiva. L'Italia è stata superata a metà novembre: 4.670 ricoverati in Germania, secondo il monitoraggio messo a punto da Klosko, contro 3.095 in Italia. Più difficile il confronto sui posti disponibili, perché la Germania diffonde il numero di terapie intensive davvero libere (sono 3.731) mentre l'Italia quello dei posti non occupati da Covid, senza specificare se in realtà sono occupati per altre malattie.

Inevitabile, a questo punto, la stretta anche in Germania. La mobilità (oggi pari al 78% di quella ordinaria contro il 44% dell'Italia) va fortemente limitata. Per cui da domani su spinta della Merkel si chiude, vietando fino a domenica 10 gennaio gli spostamenti non indispensabili, limitando a sei le persone non conviventi che possono incontrarsi. La fortuna non basta più.

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