I cyber-soldati dell'Esercito, ecco il reparto “Rombo”(tra i più preparati al mondo). «Pronti alla guerra digitale»

«La difficoltà maggiore è non sapere chi è il nemico e di quali strumenti dispone»

In trincea con i cyber-soldati dell'Esercito, ecco il reparto “Rombo” (tra i più preparati al mondo). «Pronti alla guerra digitale»
In trincea con i cyber-soldati dell'Esercito, ecco il reparto “Rombo” (tra i più preparati al mondo). «Pronti alla guerra digitale»​
di Nicola Pinna
Lunedì 29 Gennaio 2024, 00:09 - Ultimo agg. 30 Gennaio, 09:06
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Nella trincea non c’è fango. E per nascondersi non c’è bisogno di mimetizzarsi tra le frasche. Certo, la regola principale della guerra vale per sempre: per colpire il bersaglio all’improvviso è necessario non farsi notare. Ma più che paracadutisti impavidi, per la rischiosissima battaglia cibernetica, che già ogni giorno si combatte senza l’eco delle bombe e apparenti spargimenti di sangue, servono forze molto speciali. Anzi, specializzate. E armi potentissime: computer, dati, software e malware, sensori, reti inviolabili, collegamenti segreti e server proxy. Si nascondono nel buio del cyber spazio le teste di cuoio dell’Esercito: soldati che sembrano hacker, specialisti nella difesa digitale ma anche addestrati all’attacco. Pronti costantemente a scendere in campo. E anche a colpire. Perché da qui si spara eccome, anche se i proiettili non lasciano fori e non restano bossoli sul terreno. 

IL FUOCO DEI MOUSE

Il campo di battaglia è un luogo silenzioso.

Luce soffusa e rumore di ventole sullo sfondo. Password ovunque e schermi che proiettano codici incomprensibili. Stanze piene di computer che a voler seguire le metafore assomigliano tanto a una schiera di mitragliatori costantemente carichi e puntati verso un bersaglio mobile e spesso sconosciuto. Ma non si sente l’eco delle bombe in questa super centrale che è la prima linea di una guerra che è in corso da anni ma che si combatte senza troppa pubblicità. Il centro di comando è un edificio dove le porte non si aprono facilmente: divieto d’accesso in ogni angolo, selezione all’ingresso rigorosissima perché tra server, cavi e banche dati ci sono molti segreti da rubare. Sul campo di battaglia oggi è schierata una super squadra: l’élite del plotone di combattenti informatici. L’organizzazione è identica a quella di una qualunque compagnia di artiglieri. A dare gli ordini è il più alto in grado e oggi tocca al capitano Matteo Marchetti, affiancato dal tenente Ferdinando Pulella. Nel team ci sono anche il sergente maggiore Francesco D’Agostino, i graduati scelti Francesco Cossu e Jacopo Castagnacci. Ex bersaglieri ed ex alpini che dal poligono di tiro tradizionale sono passati a quello del mouse. 

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FORZE SPECIALI CYBER

L’Esercito italiano ora ha il suo reparto totalmente dedicato alla guerra elettronica e può vantare un livello di specializzazione tecnologica tra i più avanzati al mondo: il 9° Reggimento Sicurezza Cibernetica “Rombo” divide le sue attività in più specializzazioni e ha il quartier generale segretissimo nella grande caserma della Cecchignola, a Roma. L’esercito 4.0 è già schierato, in patria e anche nelle missioni all’estero in corso: carri armati, blindati, droni e sistemi di artiglieria iper tecnologici insieme ai team di combattenti digitali, capaci di difendere i mezzi dalle incursioni elettroniche dei nemici e di far scattare attacchi ben piu potenti, in caso di necessità. «La nostra attività non è slegata da quella delle truppe sul terreno - sottolinea il colonnello Pierpaolo Caligari, che del nuovo reggimento è il comandante - I mezzi, quelli di terra ma anche quelli aerei e navali, sono in collegamento costante tra loro, ma anche con i centri di comando in patria, e per questo basta un’intromissione sulle reti per manomettere gli apparati, bloccare le attività e captare le comunicazioni. Le comunicazioni oggi non sono più i dialoghi via radio che ci si immagina, ma dati su bersagli, punti strategici, mezzi in campo o zone da difendere. I rischi conseguenti sono facili da capire». 

GLI ORDIGNI TECNOLOGICI

Lo scontro a fuoco può essere durissimo e con conseguenze molto gravi in quel luogo ignoto che è lo spazio cyber. «Le implicazioni sono anche molto reali, pratiche - precisa il colonnello Caligari - Un tempo i rischi per i nostri blindati erano gli ordigni piazzati sulle strade, i cosiddetti Ied, oggi invece i carri armati possono essere colpiti con una bomba tecnologica. E cosa può succedere? Di tutto: che l’intervento del nemico cyber riesca a bloccare la centralina, che di conseguenza i sistemi di sicurezza segnalino un’anomalia anche inesistente, che si provochi un danno agli apparati di trasmissione dei dati. Ecco, questo è un solo esempio. Ma che si può applicare a tanti degli strumenti al servizio delle truppe. E per questo ogni missione e ogni operazione ha bisogno oggi di un sistema di difesa elettronica che blocchi interventi esterni, creando una specie di bolla impenetrabile». 

I RADAR DIFENSIVI

Nel nuovo centro della Cecchignola, che di una caserma ha poco o nulla, i computer non si spengono mai. I monitor di questi radar anti-hacker sono sorvegliati di continuo. «Se nella guerra tradizionale l’arma peggiore è considerata la bomba atomica, in quella digitale può essere un attacco su più ambiti - racconta il graduato scelto Jacopo Castagnacci, che oggi fa parte del team in campo - Un esempio è facile: con le armi cyber è possibile mandare in tilt le centrali elettriche, magari i sistemi radiotelevisivi, i macchinari degli ospedali, i server delle istituzioni o i centri di controllo degli acquedotti. Questo ha molte implicazioni, persino quella di creare infezioni alla popolazione, se andassero in tilt i depuratori». Ma il nemico non ha quasi mai una bandiera che sventola. «Infatti, la difficoltà principale è che non abbiamo un rischio definito, non sappiamo quasi mai chi sarà il nemico e che strumenti ha a disposizione - riflette il capitano - La difesa ovviamente diventa più difficile. Questo ha livellato le capacità degli stati, perché ora non conta più avere più soldi per comprare sistemi d’arma o apparati difensivi. Nella guerra cibernetica conta la creatività di chi agisce dietro a un computer: bastano sistemi tecnologici a basso costo e serve artigianalità. E quella non è collegata al potere economico». 

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