Gaza, tre nomi per il dopo: c'è anche Barghuti (ora in cella), leader della seconda Intifada

Impazza già il totonomi per chi governerà la nuova Gaza, quella che emergerà dalle macerie della guerra e non sarà più tenuta in ostaggio da Hamas

Gaza, tre nomi per il dopo: c'è anche Barghuti (ora in cella), leader della seconda Intifada
Gaza, tre nomi per il dopo: c'è anche Barghuti (ora in cella), leader della seconda Intifada
di Marco Ventura
Domenica 29 Ottobre 2023, 21:33 - Ultimo agg. 30 Ottobre, 14:55
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Mohammed Dahlan, Marwan Barghuti, Majed Faraj e pochi altri. Impazza già il totonomi per chi governerà la nuova Gaza, quella che emergerà dalle macerie della guerra e non sarà più tenuta in ostaggio da Hamas. Forse, il leader che subentrerà a Ismail Haniyeh sarà lo stesso che reggerà anche la Cisgiordania dopo Mahmud Habbas, nome di battaglia Abu Mazen, il capo di Fatah e dell’Autorità nazionale palestinese la cui leadership è ormai agli sgoccioli: 88 anni suonati il prossimo 15 novembre, cardiopatico, guarito da un cancro alla prostata, elezioni congelate dal lontano 2006, da 17 anni. La domanda è: chi guiderà il popolo palestinese quando il conflitto sarà alle spalle e dovrà ripartire un percorso verso la pace possibile? Israeliani, americani e Paesi arabi moderati, che hanno avviato o già sottoscritto un processo di normalizzazione delle relazioni con Israele, se lo chiedono con insistenza. Contatti sono in corso. Una cosa è chiara: i nuovi leader devono essere popolari sul territorio, con anni di militanza e carcere israeliano nel curriculum, ma conosciuti agli occidentali, in ottimi rapporti con Arabia Saudita, Emirati arabi uniti e Egitto, e in grado di dialogare con Israele. Un identikit non semplice da trovare, ma non impossibile. Quella figura esiste. 

LE IPOTESI

Il suo nome lo ha azzardato in questi giorni al “Messaggero” Yakoov Peri, ex capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno di Israele. Tre anni fa lo aveva detto a “Usa Today” David Friedman, ex inviato americano a Gerusalemme: «Mohammed Dahlan? Ci stiamo pensando». L’idea circola da tempo, per Gaza e per il dopo-Abu Mazen. Dahlan, 62 anni, carriera da dirigente palestinese di primo livello. Nato nel campo profughi di Khan Yunis a Gaza, undici volte nelle carceri israeliane per un totale di 5 anni fino al 1986, ne ha approfittato per imparare l’ebraico. Conosce e dialoga col nemico da quando è diventato capo della sicurezza di Fatah e leader della Striscia. È considerato “affidabile”. Nel ‘94, alla nascita dell’Autorità nazionale palestinese, Arafat lo aveva scelto come capo della Sicurezza preventiva a Gaza.

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Gli fu poi mossa l’accusa (una medaglia sul petto in certi ambienti, sia palestinesi che israeliani) di aver usato le maniere forti con quelli Hamas: torture in carcere. Abu Mazen gli avrebbe rimproverato di aver perso la battaglia per la Striscia proprio con Hamas. Già consigliere per la sicurezza nazionale dell’Autorità e membro del comitato politico di Fatah, avere sfidato Abu Mazen gli ha procurato accuse di corruzione, di aver avvelenato Arafat, infine l’espulsione del 2011. Esule ad Abu Dhabi, ha coltivato le sue vaste relazioni regionali, conservando però la sua base di consenso a Gaza e in Cisgiordania.

Ci sarebbe il suo zampino dietro la firma degli “Accordi di Abramo” tra Israele e gli Emirati arabi uniti. Già dallo staff di Donald Trump era visto come possibile leader a Gaza. Negli ultimi anni, la sola “minaccia” di formare una propria lista in Cisgiordania è bastata a rimandare il voto, perché avrebbe tolto consensi a Abu Mazen e rischiato di consegnare la vittoria a Hamas. Amico personale dei Clinton e di un paio di ex direttori della Cia, Dahlan non è riuscito a evitare la taglia della Turchia, che lo ritiene coinvolto nel tentato golpe del 2016. Cinque milioni di dollari, neanche poco.

L’altro nome carismatico, che per quanto si trovi in prigione in Israele dal 2002 non sarebbe malvisto neppure a Tel Aviv, è quello di Marwan Barghuti, 64 anni, leader della Seconda Intifada e dell’ala movimentista di Fatah. La moglie, Fadwa Ibrahim, è uscita allo scoperto di recente con interviste che rilanciano la candidatura di Marwan a guidare un governo di unità nazionale palestinese. «Abu Mazen è finito, tocca ai giovani liberare i palestinesi». Ma non può essere Dahlan, anche se lei non lo cita, perché il nuovo leader non può entrare a Gaza, «sopra un carrarmato israeliano». Si fa portavoce della vecchia guardia la vedova di Arafat, Suha, che rifiuta di immaginare una fine del potere di Abu Mazen. «Vivrà fino a 100 anni». Ma la guerra a Gaza farà precipitare la situazione pure in Cisgiordania. Nel segno della continuità, i possibili successori sono Majed Faraj, 60 anni, qualche mese fa prorogato a oltranza capo dei servizi segreti dell’Anp, sfuggito nel 2018 a un terribile attentato, nel curriculum, un padre ucciso da incursori israeliani a Betlemme. Poi Jibril Rajoub, oggi segretario generale del comitato centrale di Fatah, e, soprattutto, presidente della federazione calcistica e del comitato olimpico palestinese. Infine, un potente outsider che conosce bene gli americani perché ha rappresentato la Palestina all’Onu e vive a New York: Nasser al-Qudwa, nipote di Arafat. 

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