Gaza, invasione congelata. Cosa fa ora Israele? Attacchi mirati su Hamas: la strategia per evitare l'escalation

Netanyahu cambia linea: teme per gli ostaggi e per i fronti arabi. Veto Usa sulla risoluzione Onu per il cessate il fuoco: «Israele deve difendersi»

Gaza, invasione congelata. Cosa fa ora Israele? Attacchi mirati su Hamas: la strategia per evitare l'escalation
Gaza, invasione congelata. Cosa fa ora Israele? Attacchi mirati su Hamas: la strategia per evitare l'escalation
di Marco Ventura
Giovedì 19 Ottobre 2023, 00:00 - Ultimo agg. 11:42
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Niente «pausa umanitaria». Sì, invece, al passaggio di aiuti attraverso il varco di Rafah al confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. L’ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, pone il veto alla risoluzione votata da 12 dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza, con l’astensione di Russia e Regno Unito. Il motivo è uno solo: nel testo messo a punto dal Brasile manca il riferimento al diritto di Israele a difendersi, dopo l’attacco del 7 ottobre in cui gruppi di terroristi di Hamas hanno via via ucciso, uno per uno, oltre mille israeliani nei kibbutz, nei villaggi e nel rave dei giovani nel deserto. La «pausa umanitaria», letta da israeliani e americani, avrebbe significato una tregua. Il cessate il fuoco, proprio nel momento in cui Israele continua a tenere nel mirino i nuclei di miliziani delle Brigate Al-Qassam, ala militare di Hamas. Al tempo stesso, la visita del presidente Joe Biden in Israele è servita a rafforzare la posizione già in qualche modo definita dallo stesso premier israeliano, Netanyahu, ossia il congelamento dei progetti di invasione della Striscia. 

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LA FRENATA

No, per il momento, all’intervento via terra. Da un lato, Netanyahu si è convinto che in effetti le provocazioni di Hamas potrebbero essere una trappola e che le nuove armi arrivate dall’Iran costituiscano una minaccia eccessiva per soldati e carri armati israeliani impegnati negli scontri strada per strada. Inoltre, i leader di Hamas si trovano lontano da Gaza, a Doha in Qatar oppure in Libano, a Beirut. A rischiare la vita sarebbero soprattutto i circa 200 ostaggi, tra cui donne e bambini, che i combattenti di Hamas hanno rapito e portato nella Striscia. Ostaggi che Hamas vorrebbe scambiare con i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane in quanto «prigionieri di guerra», mentre Israele li considera semplicemente civili sequestrati, che vanno rilasciati in base al diritto internazionale. Infine, pesa sulle scelte di Netanyahu il propagarsi delle rivolte nelle piazze arabe anche in Paesi che fino a ieri sembravano moderati, come la Giordania di Abdallah II e l’Egitto di Al Sisi. Stati Uniti e Israele non hanno rinunciato al percorso di riavvicinamento tra l’Arabia Saudita e lo Stato ebraico, che salderebbe l’ultimo tassello del fronte arabo moderato con Israele in chiave anti-iraniana, per stabilizzare tutta l’area mediorientale. Ma per preservare il progetto, è necessario che Israele non entri a Gaza e non si riaccendano gli altri fronti di guerra arabo-israeliani, a cominciare da quello libanese con le milizie filo-iraniane di Hezbollah, e quello siriano con le avanguardie dei pasdaran del regime degli Ayatollah. 

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IL CORRIDOIO 

«Ciò di cui abbiamo disperatamente bisogno – sostiene il responsabile per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite, Martin Griffiths – è un accesso umanitario immediato e sicuro in tutta la Striscia».

Ossia un meccanismo concordato da tutte le «parti interessate per consentire la fornitura di aiuti umanitari». 

A Tel Aviv, Biden usa lo stesso linguaggio quando annuncia aiuti americani per 100 milioni di dollari ai palestinesi e sottolinea che i residenti di Gaza devono poter accedere ad acqua, cibo, medicine. Rafforza questo messaggio il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, quando dice al suo omologo israeliano, Yoav Gallant, di aver chiesto a Hezbollah di cessare gli attacchi dal Libano meridionale e rilancia la consegna di aiuti ai civili di Gaza. Lo stesso vale per il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che al Cairo ribadisce come non vi sia «giustificazione per l’attacco di Hamas contro Israele e i suoi cittadini», ma che l’obiettivo adesso più importante è «creare un accesso umanitario alla Striscia il più rapidamente possibile». Il che non significa che debba esservi una tregua o «pausa umanitaria», come recitava la bozza di risoluzione al Palazzo di Vetro. Israele, secondo gli Usa e la Germania, ha tutto il diritto di difendersi, attaccare i nascondigli dei terroristi e pianificare la distruzione politica e militare di Hamas. Per dirla con gli analisti del Besa Center, importante think tank israeliano, «è essenziale che Israele affronti in modo decisivo Hamas, eliminandone le capacità militari a Gaza, rimuovendone la leadership politica, ma anche preservando le strutture amministrative della Striscia e evitando di colpire senza necessità i civili».

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