Niger, Ilaria Di Modugno: «Paese già allo stremo, la guerra una sciagura»

Niamey "aspetta", lo spazio aereo è chiuso Qui 40 italiani, c'è intesa con l'Ambasciata

Ilaria Di Modugno
Ilaria Di Modugno
Aldo Balestradi Aldo Balestra
Venerdì 11 Agosto 2023, 09:52 - Ultimo agg. 15:31
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«L'ultima cosa di cui ha bisogno il Niger è una guerra. Questo Paese è talmente in difficoltà, carico di problemi di ogni tipo, che un'escalation militare potrebbe piegarlo definitivamente, con gravissime conseguenze. Tutti noi che lavoriamo qui confidiamo in una soluzione diplomatica della grave crisi seguita al colpo di stato di luglio. Ma siamo consapevoli di quanto sia rischiosa la partita geopolitica mondiale in atto, con interessi enormi».

Ilaria Di Modugno parla dall'ufficio della Ong Coopi (Cooperazione Internazionale) nella capitale Niamey, nel plateau de radiodiffusion télévision du Niger. La dottoressa, 29 anni, origini avellinesi e laurea in Scienze dell'Alimentazione al Campus Bio Medico di Roma, è la "Nutrition Coordinator" di Coopi, la Ong milanese che dal 2012 è presente in Niger. Coopi ha già messo in campo nel paese africano una serie di azioni, dal rinforzo delle strutture di salute primaria, con interventi di salute mentale e sicurezza nutrizionale, fino alla promozione delle piccole imprese gestite da giovani e donne. Oltre 120 progetti (93% di emergenza, 7% di sviluppo) che hanno riguardato quasi 4 milioni e mezzo di persone.

Dottoressa Di Modugno, l'Ecowas ieri a tarda ora ha mobilitato le truppe per un'azione militare in Niger, i golpisti annunciano che in caso di attacco uccideranno l'ex presidente Bazoum ora agli arresti, la Farnesina ribadisce che quella diplomatica resta l'unica strada, l'ambasciata Usa esorta gli americani a rimanere al riparo a Niamey. Che succede?

«La mia percezione è che Niamey, dopo alcuni scontri e il rovesciamento del presidente Bazoum, non mostri ancora particolari segni di pericolo.

O almeno non evidenti. Non ci sono posti di blocco da parte dei militari che hanno preso il potere. La circolazione per ora è libera, sebbene sia chiuso lo spazio aereo nel Paese. Certo, le accortezze sono maggiori, siamo consapevoli che in alcuni luoghi della capitale (quasi due milioni di abitanti ed un numero enorme di rifugiati, sarebbero già 300mila, ndr) non è consigliabile andare. Per non parlare di zone dell'entroterra, dove non da ora si registrano assalti di gruppi armati e jihadisti. Lì gli operatori espatriati delle Ong europee non si addentrano. Un problema è quello dell'energia elettrica. Il Niger è dipendente dalla Nigeria che, dopo il colpo di Stato, ha ridotto le forniture. Noi, per ora, abbiamo un generatore autonomo».

Gli operatori di Coopi sono stati minacciati nella loro azione?
«No, sia prima il governo Bazoum che l'attuale forza militare al potere non hanno mostrato segnali ostili nei nostri confronti. La popolazione nigerina, dal canto suo, è per natura pacifica, consapevole di quanto facciamo per il Paese».

Quale è la sua attività?
«Coordino l'attività del Dipartimento Nutrizione di Coopi, che ha in essere 20 progetti e almeno 6 sulla nutrizione. Dormiamo in alloggi in centro città e la mattina ci trasferiamo in ufficio, non siamo lontani dall'Ambasciata Italiana, anche se in un'altra zona di Niamey. Dirigo lo staff dislocato nelle varie regioni del Niger e che opera attraverso cliniche mobili sul campo, gestite da personale nigerino. Le zone più interessate sono Tillabéry, Diffa, Tahoua».

In quanti siete ora?
«Noi di Coopi siamo rimasti in nove. Ci sono la capo missione Morena Zucchelli, una ragazza napoletana, Angela D'Ambrosio, ed altri operatori tra cui Valentina, Sergio, Elena».

Perché siete ancora lì?
«C'è da portare avanti il progetto, io sarei dovuta rientrare in Italia quest'estate per un breve periodo di ferie, ma il colpo di Stato ha fatto cambiare i progetti e rimarrò fino a novembre per ultimare la missione. Sono in Niger da tre anni, prima ero stata in Uganda e Tanzania. Le ragioni di partecipazione alla missione di Coopi sono molto forti, stiamo facendo qualcosa di importante per una delle popolazioni africane più afflitte. Il Niger è sempre risultato ultimo in ogni indice di sviluppo umano».

Altri italiani sono andati via.
«Ad inizio agosto l'Ambasciata ci ha informato della possibilità di tornare in Italia con un volo dedicato. Alcuni connazionali, tra cui imprenditori con famiglie e operatori di Ong, hanno preferito partire».

Quanti italiani sono ora in Niger?
«Poche decine, credo in tutto una quarantina compreso il personale di Ambasciata: il rapporto con loro è importante e continuo, i contatti con l'ambasciatrice Emilia Gatto ottimi, così come con l'Unità di crisi della Farnesina. Se la situazione dovesse peggiorare saremmo informati».

Sa che una sessantina di soldati italiani è tornata in Italia? Ne rimangono a Niamey altri 250.
«Sì, sono occupati nella missione di addestramento Misin».

La Difesa ha informato che i primi rientri dei militari sono serviti anche a migliorare le capacità ricettive della base italiana, nel caso fosse necessario accogliere i connazionali civili e poi evacuarli in caso di pericolo.
«Noi non abbiamo contatti diretti con il personale militare italiano, ma con l'Ambasciata e l'Unità di Crisi. Ci avviseranno di qualsiasi evoluzione. Ma, mi creda: voglio restare ottimista, c'è da aiutare una popolazione poverissima, con un fortissimo sfruttamento minorile e femminile, in balìa di bisogni primari, che sopravvive facendo i conti con la malnutrizione che è fonte di gravi malattie. Qui l'emergenza è la regola. E milioni di nigerini non sono nemmeno coscienti di quel che sta avvenendo sulle loro teste».

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