C’è un «lampante doppio standard» nell’attuale catastrofe umanitaria fra palestinesi ed ebrei. È perentoria la regina di Giordania Rania che, in un’intervista alla Cnn, accusa Israele di apartheid e denuncia come «la gente di tutto il Medio Oriente, compresa la Giordania, è scioccata e delusa dalla reazione del mondo occidentale» alla guerra in corso fra Hamas e Israele. «Il 7 ottobre il mondo si è immediatamente e inequivocabilmente schierato al fianco di Israele, del suo diritto di difendersi e ha condannato l’attacco. Ma nelle ultime due settimane stiamo assistendo al suo silenzio» accusa la regina di Giordania. «Ci state dicendo che è sbagliato uccidere un’intera famiglia sotto la minaccia di una pistola, ma che va bene bombardarla a morte? Perché non c’è la stessa condanna per quanto sta accadendo ora?».
I LEGAMI
Di discendenza palestinese, Rania insieme al marito, il re Abdullah II, governa un Paese che secondo le Nazioni Unite ospita il 40% del totale dei rifugiati palestinesi registrati in Medio Oriente, per un totale di circa 2 milioni di persone e 10 campi profughi.
ALTA TENSIONE
Nelle due ultime settimane sono scoppiate ulteriori manifestazioni in diverse città che la polizia sarebbe però riuscita a incanalare lontano da aree sensibili come le ambasciate Usa e israeliane. Addirittura, fuori dalle moschee di Amman, centinaia di manifestanti avrebbero chiesto al governo di lasciarli andare a combattere contro Israele. Motivo per cui carri armati, blocchi stradali e servizi di sicurezza giordani hanno impedito agli stessi di avvicinarsi al confine. Il Ministero degli Interni ha proibito le proteste nella Valle del Giordano, al confine ovest del Paese con la Cisgiordania (in subbuglio per le crescenti tensioni fra palestinesi e coloni ebrei). Murad Adayleh, il capo del Fronte d’Azione Islamico, partito che rappresenta i Fratelli Musulmani giordani, parlando a una folla, avrebbe chiesto di «armare il popolo giordano» e ribadito la diffusa opposizione al trattato di pace con Israele del 1994 e alla presenza di forze americane nel territorio.
Secondo Ben Fishman, Senior Fellow al Washington Institute, tuttavia, «la Giordania rimane un perno per gli Stati Uniti in Medio Oriente grazie al partenariato bilaterale di sicurezza e alla leadership politica moderata del regno».
I RISCHI
Del resto, il Paese arabo non può prescindere dagli ingenti aiuti economici che Washington gli invia ogni anno: nel 2022, i due Paesi hanno firmato un accordo di aiuti annuali pari a 1,45 miliardi di dollari per una durata record di sette anni. I malumori giordani complicano però la posizione degli Stati Uniti nel Paese e aumentano il rischio che la conflittualità interna li metta spalle al muro. Secondo il Pentagono, tra le basi militari Usa attaccate ripetutamente negli ultimi giorni da Hezbollah e Jihad islamica palestinese, movimenti armati sciiti filo-iraniani, c’è anche quella di Al Tan, al confine fra Siria e Giordania. Il tradizionale equilibrismo della Giordania, necessario a dialogare sia con l’Occidente sia col mondo arabo, è messo in crisi dalla sensibilità della pancia del Paese. Rania lo ha capito.