La mia magnifica Kharkiv, città universitaria distrutta in una settimana

La mia magnifica Kharkiv, città universitaria distrutta in una settimana
di Massimo Capaccioli
Martedì 8 Marzo 2022, 23:39 - Ultimo agg. 10 Marzo, 10:19
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Kharkiv era una magnifica città, luminosa, accogliente e vitale. Ho cominciato a frequentarla cinque anni fa quasi per caso, come risposta a un invito fattomi da una collega dell’Università Karazin, più per curiosità che per vera convinzione. Sapevo pochissimo dell’Ucraina e soprattutto ignoravo quanto ancora quella terra fosse ricca di ingegno. Mi sono dovuto rapidamente ricredere quando ho scoperto a Kharkiv un’accademia che, con tutti i limiti di un’economia non florida, conservava quello stile, quei valori, quegli ideali e quella passione per lo studio e la ricerca che tanti anni fa mi avevano fatto desiderare di intraprendere la carriera universitaria. In breve tempo mi sono trovato a casa, circondato da amicizia e simpatia e dalla voglia di fare. L’Università, diretta con garbata determinazione, migliorava giorno dopo giorno le proprie strutture e così l’Istituto di radioastronomia dell’Accademia delle scienze, responsabile tra l’altro del più grande radiotelescopio del mondo per onde decametriche. Ne parlo perché sono le istituzioni che ho conosciuto meglio e della cui crescita posso dare testimonianza autentica. Ora sono un mucchio di rovine, tra cui si aggirano spauriti, tentando di salvare il salvabile, i pochi che non sono ancora fuggiti ad ovest, per amor di patria o perché impossibilitati a farlo; spesso mariti che hanno preferito dire addio a mogli e figli pur di saperli al sicuro.

Guardando oggi le immagini di Kharkiv diffuse dai media o inviatemi direttamente dai miei tanti amici laggiù, stento a riconoscere luoghi che in questo arco di tempo mi erano diventati familiari e cari. La guerra che uccide gli uomini, sradica le radici e semina la paura, la disperazione e l’odio, si accanisce sulle cose cancellando con sanguinosi colpi di spugna la memoria stessa. Sventrati dalle bombe russe sono gli uffici, i laboratori e le aule dove più volte abbiamo tenuto, in stretta collaborazione con l’ambasciata italiana attenta a rinforzare le relazioni tra i nostri due paesi, bellissimi convegni interculturali. Eventi che hanno permesso ad altri docenti italiani di scoprire l’Ucraina della scienza e del sapere e di toccare con mano l’ospitalità di un popolo oggettivamente povero ma generoso e orgoglioso. La piazza della Libertà, lì dove d’inverno una grande pista ghiacciata concedeva un momento di svago a grandi e piccini, ora è un ammasso di detriti e di carcasse di automobili bruciate. Il magnifico parco pubblico, degno di una città svizzera per la meticolosità con cui era stato realizzato e arredato e con cui veniva gestito, ospita nei sui viali i resti macabri dei razzi sparati dalle moderne Katiusha. Neri e spettrali monconi di palazzi sventrati e bruciati circondano la cattedrale bianca con le cupole dorate e il mastodontico teatro dell’opera di epoca sovietica dove tante volte, per pochi grivna, ho assistito a belle rappresentazioni di melodrammi italiani.

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Una città violentata e ferita che ha perso i suoi muri, le sue memorie e la sua gente, dove ora cova il risentimento verso quei soldati e quel popolo che parla proprio la stessa lingua e che in molti casi ha il medesimo sangue. A Kharkiv si parla russo, orgogliosamente, con la fierezza di chi, sentendosi ucraino, non intende però scordare le proprie origini. Immagino con quanto sbalordimento la gente abbia accolto le prime pallottole delle truppe di Putin e quanto i giovani soldati russi si siano trovati a disagio a demolire la casa dei loro stessi fratelli. Ma è successo, e purtroppo non si può tornare indietro. Sangue, disperazione e macerie non lo permettono. Dobbiamo sperare che il massacro si fermi presto onde procedere celermente alla ricostruzione. Ma non sarà facile che la mia Kharkiv possa tornare come prima. Colpa di una guerra che ha due soli contendenti ma tanti responsabili, tra cui anche noi. Forse 77 anni di pace sono stati troppi per mantenere viva la cognizione dell’insensatezza della guerra. Avremmo potuto, dopo il crollo dell’Urss, portare la Russia in occidente invece che ghettizzare questo grande popolo, evitando così che un’opportunità si trasformasse in un problema. Uno sbaglio forse voluto (cui prodest?) di cui oggi pagano il prezzo gli ucraini. Ma non illudiamoci. La storia presenterà presto il conto anche a noi.

 

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