Purtroppo, è più di un mese che la guerra di Putin va avanti ed è probabile che le complicazioni vere (comprese quelle economiche, alimentari e di gestione dell’emergenza profughi) debbano ancora arrivare, e dunque ci aspettano momenti non piacevoli. In queste settimane, comunque, continuano sui media, nei bar, nei crocicchi a girare alcune storie su questa “operazione militare speciale”. La prima, diciamo così, quella da cui tutto parte è la seguente: è colpa dell’allargamento della Nato ad est, dunque, Putin è stato provocato - sono, tra l’altro, le giustificazioni dello stesso Putin, quando il 21 febbraio, alla vigilia dell’invasione disse, con un tono zarista, che questi paesi (Ucraina, stati baltici, Bielorussia, Georgia, persino Polonia) debbono «tornare nella sfera di influenza russa». A parte che questa narrazione nasconde quella che in gergo viene chiamata, colpevolizzazione della vittima, ovvero gli ucraini se la sono cercata, un po’ come quando con fare dispregiativo si dice: quella girava non minigonna, che si aspettava.
La suddetta narrazione è la versione semplificata di un processo complesso che ha avuto varie evoluzioni nel corso degli ultimi 70 anni. Ma giusto per restare a tempi recenti, l’ultimo allargamento della Nato verso est risale al 2004, quando le due repubbliche baltiche, Estonia e Lettonia, entrarono nell’alleanza atlantica. È bene precisare che nessuno ha costretto estoni e lettoni a entrare nella Nato (che è un patto su base volontaria, inoltre si entra nella Nato per difendersi dalle aggressioni e non per aggredire), semplicemente hanno scelto di farlo.
A proposito di dibattiti, uno come il professore Orsini, che si contraddice spesso, ripete che ama l’Occidente e non starebbe mai sotto Putin. Lui no, però gli altri ci debbono stare e non si capisce su quale base e su quale convenienza debbano accontentare Orsini. Qui, di solito, arriva l’obiezione: la Nato aveva promesso alla Russia, nel 1991, di non allagarsi ad Est. Bene, dove sta scritto? Dove si trova questo accordo? Non esiste. C’è un resoconto trovato in un archivio britannico. Ma che valore può avere? Anche in campo condominiale, siamo tutti attenti agli atti pubblici, alla famosa carta canta, pensate nella dimensione internazionale. Insomma, a maggior ragione, l’accordo deve essere pubblico, e non una roba polverosa da tenere in archivio.
In realtà un accordo c’è. È il meno noto Memorandum di Budapest, del 1994, di cui si parla poco o niente. Nella sostanza, la Russia si impegnava a rispettare i confini dell’Ucraina (e la sua indipendenza). In cambio, gli Ucraini restituivano gli ordigni nucleari sovietici, circa 1900. Conclusione? La Russia, nel 2014 ha violato il memorandum, annettendosi la Crimea, poi invadendo la regione del Donbass. Quindi, come si può notare, dibattiamo su un accordo fantasma, ovvero un resoconto trovato in archivio e non ci importa niente di un patto siglato, e che la Russia ha violato.
Altra ricorrente obiezione è che l’Ucraina voleva entrare nella Nato. Anche qui, nel caso, sarebbe stata la scelta di un popolo, espressione di una precisa volontà, ma il fatto è che non sarebbe entrata, almeno non facilmente e non negli anni a venire. Molti stati europei, come Francia e Germania valutavano un eventuale ingresso dell’Ucraina molto rischioso (e con pochi benefici). È utile dibattere su questa guerra di Putin, analizzare le strategie e le forze in campo e puntare sempre e comunque alla pace, come disse Moravia: la guerra dovrebbe diventare un tabù, e noi tutti dovremmo impegnarci in tal senso, ma è preoccupante quando nel dibattito si accomunano le parti in campo, attribuendo loro medesime colpe, così da poter gridare: sono tutti uguali, tutti cattivi, tranne io che denuncio, ovvio. Senza una scala di responsabilità e senza documentazioni fattuali non si lotta per la pace, perché non si vede il male, l’aggressore la fa franca, e noi finiamo che facciamo la guerra a noi stessi, nei dibattiti televisivi. E comunque, a conti fatti, è una comoda posizione, porta solo visibilità e potere (e qualche volta denari) nelle nostre tasche e poche soluzioni per risolvere il problema.