Usa 2020: Trump ruggisce e ci riprova nel feudo della destra più estrema

Usa 2020: Trump ruggisce e ci riprova nel feudo della destra più estrema
di Luca Marfé
Domenica 21 Giugno 2020, 11:00 - Ultimo agg. 12:06
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Si ricomincia: il primo comizio dopo tre mesi di lockdown.

Donald Trump prova a riprendersi la scena con un evento bomba in uno scenario tutt’altro che casuale.

Mentre gli Stati Uniti ancora si agitano nella morsa delle proteste razziali, infatti, il presidente sceglie Tulsa, la seconda città dell’Oklahoma, vicina al centenario tondo di uno dei massacri più atroci dell’intera storia americana. Quello del 1921, quello dei bianchi contro i neri appunto, costato la vita a più di 300 persone di colore.

Coincidenze?
No.

Oltre a strizzare l’oramai consueto occhio alle frange della destra più estrema e quasi fieramente razzista, prima ancora di aprire bocca, il tycoon chiarisce così da che parte sta. Di certo non dalla parte del movimento Black Lives Matter, ma viceversa schierato saldo sul fronte della polizia e più in generale del mantra della legge e dell’ordine tanto caro ai suoi sostenitori. Che lo aspettano, sì, ma non nel numero che Trump sperava.

L’onda umana non c’è.

Una piccola folla fuori e più di qualche vuoto dentro. Si presenta così il Bok Center, lo stadio chiamato ad ospitare il più grande evento al chiuso dell’era Covid-19. O di quella del «virus cinese», come insiste sin dalle prime battute The Donald, per nulla intenzionato a mollare la presa della propaganda fondata sullo scontro con Pechino. Una delle chiavi con cui spera, evidentemente, di riaprire le porte della Casa Bianca in questa lunga corsa 2020.


«Siete dei guerrieri», ruggisce accolto da un boato.

Per riattaccare, poi, da dove in fondo non aveva smesso mai. Da quel copione, cioè, fatto di attacchi personali al rivale Joe Biden, «ostaggio della sinistra radicale». Di preoccupazioni per i disordini che rischiano di gettare il Paese nel caos, con una carezza che riserva agli italoamericani, «giù le mani da Cristoforo Colombo, amo l’Italia e ringrazio sempre il popolo italiano». Di orgoglio a stelle e strisce incentrato sull’economia dei record che deve ritornare tale, «ci siamo riusciti una volta, ci riusciremo ancora».

«Make America Great Again», atto secondo, insomma.
Con meno entusiasmo e con qualche brusio di disappunto in più, però.


Non basta prendersi gioco del virus etichettandolo come «Kung Flu», non basta prendersela con la Cina per far sparire di colpo le proprie responsabilità, non basta agitare lo spettro degli anarchici per fare il pieno di voti.

L’America deve tornare grande, ma deve farlo per davvero. E adesso alla Casa Bianca c’è lui, non qualcun altro. Lamentarsi non è più sufficiente, c’è da ricostruire e c’è da farlo in fretta.

I sondaggi, infatti, sono quello che sono.
E il 3 novembre, oramai, è già qui.

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