Berlusconi, Tajani detta la linea: «Avanti con le sue idee». Il vicepremier diventerà (di fatto) il numero uno

Il ministro degli Esteri: «Silvio ha sempre guardato al futuro, lo faremo anche noi»

Berlusconi, Tajani detta la linea: «Avanti con le sue idee». Il vicepremier diventerà (di fatto) il numero uno
Berlusconi, Tajani detta la linea: «Avanti con le sue idee». Il vicepremier diventerà (di fatto) il numero uno
di Francesco Bechis
Martedì 13 Giugno 2023, 23:47 - Ultimo agg. 14 Giugno, 10:05
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Da numero due a numero uno. Per scelta e per necessità. È la parabola che attende Antonio Tajani. Braccio destro e sinistro di Silvio Berlusconi, il vicepremier e ministro degli Esteri è ora quasi costretto a prendere lui il testimone del Cavaliere scomparso un lunedì di giugno lasciando il centrodestra allo sconforto e un certo terrore. 

LO SCONFORTO
È sconsolato, Tajani.

Come tutti i grandi protagonisti dell’epopea berlusconiana oggi ai vertici di Forza Italia, aveva da tempo messo in conto che la fine di un’era, l’era di Silvio, fosse vicina. Eppure, proprio come tutti gli altri, non era pronto. Sono servite alcune ore, svegliato di soprassalto nella notte ad Arlington, in missione diplomatica negli Stati Uniti, per far realizzare in pieno al numero due di Fi che il Cavaliere cui ha regalato trent’anni di avventura politica, dagli esordi come portavoce agli incarichi di prestigio europeo, non c’è più. Alle prime luci del mattino, inseguito dai cronisti nel D-day della destra italiana, Tajani si era già ricomposto. Più del pianto e del dolore per un «fratello maggiore» scomparso, potè la politica. «Forza Italia andrà avanti, Berlusconi ha sempre guardato al futuro ed è nostro dovere fare ciò che lui sognava fino all’altro giorno».

Eccolo, il whatever it takes del ministro forzista, a mercati aperti. Non per rassicurare le borse, ma per lanciare un messaggio alla pattuglia parlamentare di Forza Italia che nelle prime ore del lutto e dello choc, dall’altra parte dell’oceano, già si agita, scalpita. Si guarda intorno. La diaspora, il “liberi tutti”, l’opa ostile di Matteo Renzi e le sirene di Fratelli d’Italia e Lega nel centrodestra. Sono incubi ricorrenti nei pensieri dei vertici del partito in queste ore di confusione, le prime dell’era senza Cav. Per questo Tajani sceglie con cura le parole. Le usa per rassicurare, chetare gli animi, convincere gli onorevoli azzurri - ma anche gli elettori - che dopo Silvio non sarà il big-bang. «Il dolore per la sua scomparsa è forte, ma le sue idee continueranno ad essere un solido punto di riferimento», ribadiva ancora ieri pomeriggio sulla via del ritorno a Milano in un messaggio per l’assemblea di ManagerItalia. Uno dei pubblici più sensibili, da sempre, alla proposta forzista. 

Finito il cordoglio, per Tajani arriverà il momento di fare i conti a casa. Prima di quanto si possa pensare. Trova un partito diviso, agitato, spaventato il ministro degli Esteri e leader-designato dal Cav. Lacerato dalla faida interna tra i “ronzulliani” e i fedelissimi di Lady Berlusconi, Marta Fascina, che ha trascinato con sè anche Tajani e i suoi più fidati collaboratori. Chi lo conosce, scommette che “Tonio” farà di tutto per tenere insieme il partito. Senza però fare passi di lato. 

GLI EQUILIBRI
In questo senso va letta la conferma, durante la riunione del comitato di presidenza di FI convocata ieri pomeriggio via Zoom, delle nomine che a marzo segnarono l’inizio della ribalta di Fascina nel partito, con la benedizione del Cav, e il tramonto dell’ala ronzulliana. Avanti con le idee di Berlusconi. E le sue scelte, piacciano o meno. Si fermerà qui, per ora, la mano ferma del nuovo timoniere azzurro, deciso a scongiurare a tutti i costi la polverizzazione del partito in Parlamento. 

La posta in gioco è troppo alta. Non tanto per la tenuta del governo, quanto per la vera partita che tiene il fiato sospeso al vicepremier e alla titolare di Palazzo Chigi. Quel patto Tajani-Meloni per saldare a Roma i rispettivi partiti e avvicinare a Bruxelles popolari e conservatori per conquistare la maggioranza alle europee del 2024. Traguardo ambizioso, c’è chi dice troppo, sondaggi alla mano. Ma un piano B non esiste. Un politico navigato in Europa come Tajani - prima commissario Ue, poi presidente dell’Europarlamento - sa fin troppo bene che senza una Commissione europea “amica”, o almeno non belligerante, vagheggiare di fisco, lavoro e riforme costituzionali a Roma rischia di dimostrarsi un mero esercizio di stile. Il caso del Pnrr italiano, incagliato tra le maglie dell’euroburocrazia, è un’avvisaglia eloquente. 
 

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