Governo, pressing del Colle sui partiti ma incombe un'altra settimana di veti

Governo, pressing del Colle sui partiti ma incombe un'altra settimana di veti
di Marco Conti
Domenica 8 Aprile 2018, 08:30
3 Minuti di Lettura
Il rischio di un'altra settimana di veti e condizioni è molto concreto. Sullo sfondo resta la possibilità che il Quirinale organizzi per giovedì o venerdì un altro giro di consultazioni, ma senza uno spiraglio concreto non si può escludere un ulteriore slittamento. I partiti e i rispettivi leader, faticano a ragionare con i meccanismi del sistema proporzionale ed ad aprirsi alla logica di come costruire una coalizione.

La linea dell'unità, che verrà ribadita oggi ad Arcore da Salvini, Berlusconi e Meloni, consegna al M5S un centrodestra compatto che spinge Di Maio - ancora allergico al Cavaliere - ad accentuare il pressing sul Pd. Il tentativo di una parte dei dem di aiutare Sergio Mattarella a sbrogliare la matassa crea forti fibrillazioni nel partito di Martina. Il segretario-reggente del Pd mantiene un canale aperto con i cinquestelle, ma considera ancora insufficienti e «molto tattiche» le aperture ai dem fatte dal leader grillino. Con Dario Franceschini, sensibile da tempo alle ansie del Quirinale, ieri si è nuovamente schierata la minoranza dem (Orlando, Boccia, Cuperlo) che contesta a Matteo Renzi di agire ancora come segretario del partito. Decisiva sarà l'assemblea del 21, che dovrà anche decidere sui tempi del congresso, ma qualche segnale potrebbe venir fuori già martedì sera quando si riuniranno i gruppi del Pd.
 
«È giusto che il Pd resti compatto nel respingere generiche offerte. In strada e sui social ci chiedono questo», sostiene il renziano Michele Anzaldi. Far macerare Di Maio nella sua ambiguità, resta la linea del partito decisa nell'ultima direzione voluta da Renzi prima dell'addio. Resta il fatto che nel partito cresce l'area dei «dialoganti». Ovvero di coloro che vogliono aprire un tavolo con Di Maio «anche per tirar fuori le contraddizioni interne ai grillini», sostiene un deputato dem. Programmi, ministri e premier i nodi che si discutono in un'alleanza tra partiti. Sui primi due punti i grillini hanno già fatto passi in avanti dicendosi pronti a scrivere insieme il contratto di coalizione alla tedesca. Anche sui nomi dei possibili ministri potrebbe trovarsi una quadra visto che Di Maio non sembra intenzionato a farsi molti problemi sui nomi dei «ministri» presentati durante la campagna elettorale. Il nodo del presidente del Consiglio resta però difficile da risolvere viste le barricate alzate da Di Maio che continua a pensare di essere stato incaricato dal 32% degli italiani.

L'iniziativa ieri a Roma di Matteo Richetti, che ha raccolto una composita platea di esponenti del Pd di varie correnti, è destinata a produrre effetti non solo in previsione dell'assemblea e del congresso. Richetti ieri, come molti altri dem, ha infatti contestato a Di Maio l'intercambiabilità con la Lega, ma non ha chiuso al confronto con il M5S esattamente come Franceschini ed esattamente come discretamente ha sollecitato Sergio Mattarella giovedì scorso quando - dopo le consultazioni - ha parlato di «vincitori» senza numeri per governare e dell'esigenza di costruire delle coalizioni che, ovviamente, tengano conto del risultato elettorale. Forte dei numeri che ha nei gruppi parlamentari, Renzi non sembra però disposto a mollare e conta sui numeri già esigui che avrebbe in Parlamento un'eventuale maggioranza M5S-Pd.

Il problema della premiership di Di Maio rischia di diventare presto un problema che non riguarda solo il Pd, qualora dovesse aprirsi al confronto. Ieri ad Ivrea si è parlato ufficialmente di altro, ma il passo indietro dell'ex vicepresidente della Camera diventa obbligato per il M5S se vogliono veramente aprirsi al confronto rispondendo alle considerazioni del Capo dello Stato. Il solo contratto alla tedesca non è infatti sufficiente perchè persino Salvini avrebbe difficoltà a digerirlo a palazzo Chigi soprattutto dopo che è stato lo stesso Di Maio a porre il veto sul Cavaliere. Sinora il M5S rifiuta l'idea di mettere in discussione il suo candidato premier sostenendo che l'alternativa sono solo le urne. Evocare però il ritorno al voto a breve per una forza del 32% e dove dovrebbe vigere ancora il principio dell'«uno vale uno», rischia però di non essere semplice.
© RIPRODUZIONE RISERVATA