Fondi Ue, dieci anni per un progetto: la locomotiva a passo di lumaca

Fondi Ue, dieci anni per un progetto: la locomotiva a passo di lumaca
di Nando Santonastaso
Lunedì 20 Maggio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 18:35
4 Minuti di Lettura
L'elenco delle incompiute ormai è arcinoto, quello dei fondi inutilizzati anche. Miliardi di euro in attesa di essere spesi per la realizzazione di infrastrutture che nel Mezzogiorno sarebbero determinati per colmare almeno parte del divario. Ma di quali soldi si tratta? Difficile una risposta precisa considerati i mille rivoli della spesa pubblica in Italia. Ma di sicuro quelli stanziati dall'Unione europea restano una quota significativa, non inferiore in molti casi al 60 per cento del totale. Fondi stanziati in ogni ciclo di programmazione ma non sempre sufficienti a completare le opere alle quali erano stati destinati. Per tutti i Grandi progetti ammessi al finanziamento europeo si sono sempre resi necessari i tempi supplementari, peraltro espressamente previsti dalle norme comunitarie. E dal momento che in Italia e soprattutto nel Mezzogiorno la durata di un'opera pubblica oltre i 50 milioni non è inferiore ai dieci anni, ecco spiegato perché finora nessun ciclo settennale di fondi europei, neanche quando sono stati concessi dai due ai tre anni in più per rendicontare le spese sostenute, è coinciso con la fine di un grande progetto. Al punto che riprogrammare le spese su più cicli è diventata ormai una pratica persino inevitabile che non ha inciso sul raggiungimento dei target annuali di spesa previsti da Bruxelles (i fondi europei anche nel Mezzogiorno sono sempre stati spesi fino all'ultimo centesimo) ma hanno ulteriormente dimostrato come sia lento e ormai sempre più inaccettabile il percorso relativo alla realizzazione delle grandi opere in Italia e nel Sud più che altrove. In sostanza, non è la disponibilità dei fondi Ue a frenare i tempi ma la cronica incapacità del sistema Italia ad essere al passo con i ritmi europei. Lo dimostra il fatto che anche quando i fondi sono spostati in Bilancio, la macchina burocratico-amministrativa fa fatica a correre, zavorrata da norme procedurali, iter autorizzativi e problemi tipicamente locali che non è mai stato facile risolvere in modo definitivo.
 
Uno degli esempi più significativi riguarda la linea ferroviaria ad alta capacità e alta velocità Napoli-Bari che peraltro proprio di recente sembra essere stata rilanciata sul piano progettuale e dei finanziamenti. I primi fondi stanziati dall'Ue, circa 400 milioni, risalgono al ciclo 2007-2013 ma nessuno si illudeva che potevano bastare alla costruzione di un'opera decisiva per il Mezzogiorno. La Ue l'aveva inserita tra quelle strategiche per il cosiddetto corridoio Ten-T tra Scandinavia e Mediterraneo ma non immaginava che al 2019 i lavori già finiti o anche solo appaltati fossero di fatto solo all'inizio. Eppure ci sarà ancora bisogno dei fondi di Bruxelles per arrivare al traguardo fissato nel 2026 (salvo imprevisti) visto che la previsione di spesa supera i 6,2 miliardi.

Lo stesso avviene anche per altre opere. È il caso del collegamento ferroviario di cui la città di Matera, specie ora che è capitale europea della cultura, avrebbe bisogno e di cui si parla ormai da decenni. O del progetto della Banda ultra larga che in Calabria era già tra gli obiettivi del Por 2007-2013 ma che è slittato al ciclo di programmazione successivo.

O ancora dell''ammodernamento della statale Jonica che pure rientra tra le priorità assolute del Mezzogiorno e del Paese. Per accelerare la spesa si sono per la verità sperimentate non poche soluzioni. La stessa Ue, resasi conto delle difficoltà provocate anche dalla complessità dei meccanismi imposti dai burocrati di sua competenza, ha cercato di venire incontro alle amministrazioni locali. Prima ha riconosciuto l'esigenza dei cosiddetti programmi complementari che proprio per le grandi opere permettono di non fermare i lavori spalmandoli su due cicli di finanziamento consecutivi. E poi ha esteso a 3 anni come detto il termine ultimo per rendicontare le spese (per l'attuale programmazione c'è tempo dunque fino al marzo 2023). Una spinta a semplificare arrivò anche dall'allora ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca attraverso il Piano azione e coesione che permetteva di riallocare la quota di cofinanziamento nazionale per evitare penalizzazioni al Sud in caso di progetti non completati. Ma il problema resta e i noti limiti tecnico-progettuali di moltissime amministrazioni pubbliche del Mezzogiorno hanno finito per amplificare gli effetti.

Non a caso nel Rapporto su «Le infrastrutture per la competitività del Mezzogiorno» dell'Associazione nazionale dei costruttori, si evidenzia che è proprio sulle infrastrutture che si consuma gran parte del divario. Dal 1990 ad oggi la rete autostradale al Sud è rimasta sostanzialmente invariatamentre in quasi tutti gli altri Paesi europei i chilometri sono aumentati. Stesso discorso per le ferrovie: nel Meridione ci sono circa 45 km per 1.000 kmq di superficie, a fronte dei 65 del Nord e dei 59 del Centro. Per non parlare della linea ad alta velocità che presenta solo 122 collegamenti giornalieri, meno della metà di quelli presenti nell'area settentrionale.

Situazione critica anche sul piano degli investimenti: le risorse destinate alle opere pubbliche del Sud non si trasformano in cantieri: tra il 2008 e il 2017 i Comuni hanno visto la spesa in conto capitale ridursi del 38% a fronte di una spesa corrente in aumento del 3,5%. Secondo le analisi dell'Ance, tra fondi Ue e fondo Sviluppo e Coesione, le risorse destinate a interventi alle costruzioni si aggirano intorno ai 44 miliardi di euro. La spesa è ancora al ralenti: a fine giugno 2018, dopo 4 anni e mezzo, l'Italia ha speso solo circa 4,8 miliardi del totale dei fondi strutturali (52 miliardi), pari al 9,3%. Modesta la ripresa degli investimenti in costruzioni: la dinamica positiva del 2017 ha riguardato in entrambe le ripartizioni soprattutto gli investimenti in macchine ed attrezzature, cresciuti del 7% nel Mezzogiorno e del 5,9% nel Centro-Nord. Assai più modesta è stata invece la ripresa nel settore delle costruzioni: se si considera il complesso del periodo 2008-2017, nonostante la leggera ripresa dell'ultimo triennio, il valore degli investimenti in costruzioni è inferiore del -31,3% a quello pre crisi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA