Giustizia lumaca e sentenze non eseguite, liberi oltre settemila condannati

Giustizia lumaca e sentenze non eseguite, liberi oltre settemila condannati
di Gigi Di Fiore
Domenica 7 Aprile 2019, 09:00 - Ultimo agg. 17:21
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«Quando tre anni fa lanciai l'allarme, sembrava fosse solo un problema del distretto di Napoli. Quello che è accaduto a Torino dimostra, invece, che è una difficoltà di molte Corti d'appello». Giuseppe De Carolis, presidente della Corte d'appello di Napoli, ricorda come, tre anni fa, denunciò le oltre 32mila sentenze arretrate che i suoi uffici non riuscivano a eseguire. Ora, può dire che aveva ragione ad aver voluto accendere quei riflettori. Tre anni dopo, le cose sono cambiate. In meglio.

A fine 2017, la Corte d'appello ha potuto individuare una soluzione: la creazione di un ufficio di cancelleria solo per l'esecuzione delle sentenze. Un lavoro che spetta alle cancellerie delle singole sezioni della Corte, che sono però piene anche di molti altri adempimenti. Spiega il presidente De Carolis: «Il mio allarme fu accolto dal Csm e ho potuto avviare un ufficio con 4-5 persone solo per l'esecuzione. Vanno tutti ringraziati. Con grande impegno, lavorando anche di sabato, in un anno sono stati dimezzati gli arretrati. Tre giorni fa, ho sentito il presidente della Corte d'appello di Torino che mi ha chiesto quale fosse stata la mia formula». L'arretrato del 2016 era di 12mila sentenze con condanne detentive per più imputati. Erano l'emergenza, escludendo le 20mila sentenze con assoluzioni e prescrizioni di minore allarme sociale. Dice il procuratore generale Luigi Riello: «Noi emettiamo le ordinanze di arresto, sulla base dei provvedimenti della Corte d'appello. Dopo il primo anno dall'allarme del presidente De Carolis, la produttività nelle esecuzioni era già aumentata del 10 per cento». Ogni magistrato dovrebbe avere almeno tre dipendenti di cancelleria ad assisterlo nella sua attività. Alla Corte d'appello napoletana, però, sono meno di due. Depositate le sentenze, l'esecuzione diventa compito delle cancellerie. Ma, per legge, l'esecuzione delle sentenze deve avere almeno un funzionario dirigente presente. Da qui la necessità dell'ufficio aggiuntivo. I magistrati, invece, sono rimasti con vuoti di organico di 13 consiglieri.
 
Solo un mese e mezzo fa, alla cerimonia di apertura dell'anno giudiziario il presidente De Carolis ha illustrato i dati aggiornati sulle esecuzioni delle sentenze. «Sono dati che, naturalmente, non coincidono con le definizioni dei processi. Le sentenze esauriscono i compiti stretti dei magistrati, lasciando agli uffici di cancelleria l'applicazione delle esecuzioni», spiega il presidente De Carolis. In un anno c'è stata una riduzione di 5mila esecuzioni di sentenze arretrate: questo però vuol dire che ci sono almeno altri 7mila condannati in libertà e in attesa che la sentenza che li riguarda venga eseguita. Un numero inserito anche nelle relazioni annuali delle forze dell'ordine che, tra gli arresti effettuati, includono anche quelli in applicazione di condanne. In teoria, sarebbero dieci gli anni di tempo prima dell'estinzione di una sentenza che preveda la detenzione di un condannato in libertà. Ma la vicenda di Torino, con Said Mechaquat condannato a maggio del 2018 a un anno e mezzo, ancora libero e diventato omicida, ripropone il tema della necessità che le esecuzioni siano rapide. «È sempre un problema di organici amministrativi, che sono del tutto insufficienti - commenta ancora De Carolis - I nostri arretrati erano decennali». C'è un meno 5mila esecuzioni rispetto ai numeri di tre anni fa, dunque. Vanno aggiunte, però, le nuove sentenze d'appello: sono 11187. Quando saranno diventate definitive dopo la decisione della Cassazione, anche per loro si porrà il problema della esecuzione. Le difficoltà di organico restano. Si trascinano da tempo, subendo gli effetti dei blocchi delle assunzioni e dei concorsi nella pubblica amministrazione.

«Anche il presidente Edoardo Barelli Innocenti ha dovuto spiegare che la difficoltà principale, per l'esecuzione immediata delle sentenze, alla Corte d'appello di Torino è la carenza di dipendenti amministrativi nelle cancellerie», spiega De Carolis. L'arretrato nasce sempre da scelte, condizionate dagli organici di cancelleria insufficienti. Procura e Procura generale hanno i loro uffici-esecuzioni che lavorano su impulso della Corte d'appello. Nell'eseguire le sentenze, si privilegiano le notifiche a chi è già detenuto, poi a chi è libero ma in base a criteri cronologici basati sulla gravità della condanna e del reato. Le ultime ad essere messe in esecuzione, per le conseguenze amministrative collegate, sono le sentenze di assoluzione o prescrizione. Tre anni fa, ce ne erano 20mila arretrate. «Naturalmente, nell'affrontare l'arretrato - conclude De Carolis - abbiamo dato precedenza alle condanne di chi era ancora libero. Il caso Torino insegna che sono le decisioni di maggiore allarme sociale, anche se la sentenza torinese era abbastanza recente ed è diventata esecutiva perché non è stato presentato appello e non c'era alcuna pena sospesa. Da quel caso, si comprende quanti elementi, nel merito, vanno tenuti in conto prima di dare effetto all'esecuzione».
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