L'appello di Di Maio divide i democratici: il sì di Franceschini

L'appello di Di Maio divide i democratici: il sì di Franceschini
di Barbara Acquaviti
Domenica 8 Aprile 2018, 08:30
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Il reggente, Maurizio Martina, a un certo punto, è costretto a mettere agli atti la linea ufficiale: la posizione del Pd «è chiara e non cambia» ed è «quella espressa al Quirinale». Ma l'apertura di Luigi Di Maio, quell'invito a «seppellire l'ascia di guerra» per dare «un governo al Paese», ormai ha già sortito l'effetto di un grimaldello che allarga, più che aprire, una crepa nel muro già poco solido dell'opposizione a tutti i costi.

In questo week end tra una consultazione e l'altra va in scena un partito diviso, anche nelle iniziative pubbliche. Da una parte Matteo Richetti, renziano critico, che in un'assemblea sul genere Leopolda della prima ora, prepara il terreno per una sua candidatura congressuale. Dall'altra la minoranza di Orlando e Cuperlo che si ritrovano con pezzi di Leu al convegno «Sinistra anno zero». In mezzo Martina, che si fa vedere all'una e all'altra, nel difficile tentativo di mantenersi in equilibrio.
 
Ma lo scontro tra renziani e non renziani si materializza comunque in un tweet di Dario Franceschini: «Di fronte alle novità politiche» delle parole del leader pentastellato «serve riflettere e tenere comunque unito il Pd nella risposta». Un pertugio che si contrappone all'ondata di dichiarazioni della guardia pretoriana dell'ex segretario, tutte improntate a ricordare che i dem sono «alternativi» al Movimento5stelle e che non c'è di che stare a discutere di fronte a un invito «strumentale». «Gli appelli di Di Maio sono imbarazzanti. In prima battuta per lui, per le sue patetiche giravolte», afferma il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci.

Insomma, parole di tutt'altro tenore rispetto a quelle di Franceschini che con la sua dichiarazione punta anche a mettere sotto accusa i «caminetti» dell'ex segretario. Anche Andrea Orlando, seppur con molta prudenza, si scosta dalla linea barricadiera nei confronti dei pentastellati. «Mi pare che non si siano prodotti fatti che determinino una situazione completamente diversa, ma è giusto valutarlo e discuterlo insieme». Un'occasione di confronto, peraltro, è proprio dietro l'angolo, visto che martedì i gruppi congiunti si riuniranno al Nazareno. Va detto che lo stesso Martina, in prima battuta, pur sottolineando il persistere di «ambiguità politiche», registrava un «apprezzabile» cambiamento dei toni di Di Maio. Al punto che lo stesso leader pentastellato si è spinto a parlare di «passo avanti» con i dem.

Ma il reggente, al momento unico candidato alla segreteria del Pd, in questo frangente si muove anche guardando all'assemblea del 21 aprile, con l'obiettivo di raccogliere attorno a sè un consenso unitario. Anche perché non è ancora chiara la strategia del fronte renziano da cui, per il momento, non è emersa una vera contro-candidatura. La battaglia sulla leadership del partito, d'altra parte, è strettamente legata a quella per il governo. Il fronte anti-renziano punta ad avere un segretario-ponte che duri almeno un anno, con primarie da non tenere prima del 2019. Questo vorrebbe dire una guida abbastanza solida per gestire i prossimi mesi e quindi anche un mutato scenario nel percorso che porta alla formazione dell'esecutivo. Non è la visione di Matteo Renzi che pensa a un traghettatore a breve scadenza, dunque più debole. Ma i numeri pesano e i fedelissimi dell'ex segretario calcolano che in assemblea oltre il 50% sia dalla sua parte.
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