Recovery al rallentatore: le riforme nel pantano dividono i partiti

Recovery al rallentatore: le riforme nel pantano dividono i partiti
di Nando Santonastaso
Sabato 25 Settembre 2021, 07:43 - Ultimo agg. 17:39
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Dal Pnrr in ritardo sulla tabella di marcia, per ammissione dello stesso premier Draghi, alle incognite sulla prossima legge di Bilancio che pure annuncia un movimento complessivo di almeno 20 miliardi. Nei giorni che precedono l’ultimo test elettorale dell’anno non sono pochi i dossier aperti per il governo e i partiti e la scadenza delle Comunali rischia di rallentare ancor più del temuto il passo della politica. Si va dalle riforme del fisco e delle politiche attive del lavoro a temi divisivi per eccellenza come il restyling del Reddito di cittadinanza, il dopo-Quota 100, il welfare, la riforma degli ammortizzatori sociali. Ma entro fine anno dovrebbero essere messe anche in cantiere le modifiche da accompagnare alla proroga fino al 2023 del superbonus del 110 per cento. E si deve trovare la copertura delle risorse da destinare al rilancio dell’automotive attraverso un fondo che dovrebbe garantire una disponibilità iniziale di 300-400 milioni di euro. Finora la mediazione e la determinazione di Draghi hanno spianato la strada al governo ma gli ostacoli restano anche se a giudicare dalle reazioni dei partiti seguite al suo appello ad un Patto sociale tra governo, sindacati e imprese per l’Italia, lanciato dall’Assemblea generale di Confindustria in scia alla proposta del presidente Bonomi, dialogo e confronto non mancano. Il Patto piace al Pd (per il segretario Letta «si tratta di un’ottima iniziativa perché significa la fine della disintermediazione, cioè della riduzione del ruolo delle forze intermedie») che punta a inserire all’interno dell’accordo il salario minimo che piace anche ai 5 Stelle (purché non si lascino fuori i partiti, dice Conte) ma è inviso sia agli imprenditori sia a gran parte dei sindacalisti. Pure la Lega è favorevole al Patto («Noi ci siamo – dice Salvini -. Non vediamo l’ora che arrivi in Parlamento la riforma della burocrazia, della Pa, del codice degli appalti e mi auguro che non ci siano Pd, Cgil o 5 Stelle che dicano di no»). Ma i dossier che dividono le forze politiche sono già dietro l’angolo, se il Patto ci sarà è a partire da essi che dovrà essere sperimentato. Eccone alcuni tra i più delicati.

L’ipotesi di riforma per ora ha un unico punto fermo nelle posizioni dei partiti: la volontà di ridisegnare le aliquote e gli scaglioni dell’Irpef. Tutti i partiti della maggioranza, dalla Lega a Leu, sono, infatti, d’accordo ad abbassare le tasse sul ceto medio rivedendo il terzo scaglione dei redditi soggetti all’Irpef, quello fra i 28mila e i 55mila euro, sul quale l’aliquota, cioè il peso delle tasse sul contribuente, fa un balzo di ben 11 punti percentuali, dal 27% al 38%. Sulle modalità rimangono, però, idee e visioni profondamente diverse. Lega, Forza Italia e M5S propendono per una riduzione da cinque a tre aliquote, mentre Pd e LeU preferiscono il modello tedesco. Per Lega e Forza Italia, in particolare, la riduzione delle aliquote è un passo, per meglio dire un compromesso, per arrivare all’obiettivo da sempre dichiarato, una Flat tax su tutti i redditi. Il Pd è contrario e punta ad un’Irpef più progressiva, con l’abolizione degli scaglioni di reddito e delle aliquote legali, delle detrazioni per tipologia di reddito e del bonus 100 euro perché tutti questi elementi verrebbero ricompresi nella sola aliquota media con livelli differenziati per livelli di reddito. 

Altro nodo tecnico-politico tutto da sciogliere. La Lega punta a introdurre il regime forfettario e ad estenderlo (con un’aliquota del 20%) fino ai redditi di 100mila euro. Ma gli “alleati” di governo frenano, la flat tax sulle partite Iva che pure si è discussa nelle Commissioni parlamentari al momento non sfonda. E lo stesso vale per la tassa di successione: il Pd resta fermo nella sua proposta con un’aliquota del 20% sopra i 5 milioni di euro. Forza Italia mira, invece, a eliminare la tassa di successione e delle donazioni o, almeno, a innalzare il valore imponibile esente per gli eredi in linea diretta o il coniuge. Leu insiste sull’imposta personale progressiva sui beni patrimoniali posseduti (mobiliari e immobiliari), al netto dei mutui e dei costi sostenuti, con una franchigia che escluda i contribuenti titolari di una ricchezza per la tassa di successione. La sintesi, finora, non è stata trovata.

Italia Viva e Forza Italia spingono a tutto spiano per l’abolizione dell’imposta che grava sulle imprese: e qui un margine di intesa sembra molto probabile. Dal canto loro, Pd e 5 Stelle puntano alla reintroduzione dell’IRI (Imposta sul reddito d’impresa) con un’aliquota al 24% e meccanismi più semplici. Nel documento messo a punto in vista della riforma fiscale, i Dem spiegano come questa imposta «determini la neutralità del prelievo rispetto alla forma giuridica dell’impresa, mentre la remunerazione del professionista o dell’imprenditore, ossia la parte di utili che viene distolta dall’attività professionale o dall’impresa, verrebbe assoggettata a tassazione progressiva». 

Ecco una riforma di cui da anni si avverte la necessità ma su cui nessun governo, a quanto pare nemmeno questo, vuole rischiare. «Il nostro governo non aumenterà le tasse» ha detto Draghi agli industriali e per molti queste potrebbero essere state le parole tombali sull’argomento catasto. La Lega e il centrodestra sono contrari, i 5 Stelle favorevoli, il Pd vuole parlare di riforma, Italia Viva pure pensa alla parità di gettito: ma, per ora (e probabilmente anche dopo) non se ne discuterà. 

È forse il dossier che scotta di più e fa fibrillare i partiti di maggioranza. Riconfigurare questa misura, (che costa tra i sette e gli otto miliardi l’anno) sembra ormai inevitabile specie dopo l’intervento del premier Draghi che giudica utile il Reddito per i poveri, ma non funzionale sotto l’aspetto delle Politiche attive del lavoro. La Lega preme per ridimensionarlo in maniera considerevole ed è sostenuta anche da Fi. Iv ha proposto un referendum per cancellarlo, Pd e Leu vogliono migliorarlo ma il muro difensivo eretto dai 5 Stelle, che sul Reddito hanno costruito gran parte delle loro fortune politiche, per ora non dà segni di cedimento. La sensazione più diffusa è che un tagliando ci sarà: un Reddito di cittadinanza, cioè, rafforzato sotto il profilo dell’azione di contrasto alla povertà e strettamente collegato alle politiche attive del lavoro, ma in modo decisamente più ridotto rispetto all’attuale (del resto, solo un terzo dei percettori è occupabile).

È lo scontro politico del giorno. Cosa succederà una volta che questa misura, tenacemente sostenuta dalla Lega ma a conti fatti improduttiva, cesserà, cioè a fine anno? Il dibattito sul ritorno alla legge Fornero (che di fatto non è mai stata abrogata) è al calor bianco, come si temeva ma al momento non è chiaro come il governo intende affrontare il punto.

Uscita a 63 anni? Nuovi esodati? Gli interrogativi fioccano e, a pensarci bene, non sono nemmeno nuovi di zecca.

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