Covid Italia, Ranieri Guerra: «La letalità resta elevata ma il vaccino è in arrivo»

Covid Italia, Ranieri Guerra: «La letalità resta elevata ma il vaccino è in arrivo»
di Marco Esposito
Martedì 13 Ottobre 2020, 11:00 - Ultimo agg. 13:50
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Dottor Guerra, l'Italia sta precipitando verso il lockdown?
«No, se saprà accettare alcuni piccoli sacrifici adesso per evitarne di maggiori dopo - risponde Ranieri Guerra, vicedirettore generale dell'Oms e componente del Comitato tecnico scientifico - sacrifici come ridurre i contatti familiari servono anche a far comprendere che non siamo di fronte a una semplice situazione di rischio, ma a un pericolo serio e molto concreto. È fondamentale che in Italia ci sia una percezione forte della pericolosità del momento. Potremmo ritrovarci dove i nostri vicini sono già».

Si riferisce alla Francia?
«Sì e non solo. Anche a Belgio, Olanda, Lussemburgo e altri ancora».

Perché la Francia sta peggio dell'Italia?
«L'Italia ha reso obbligatorie delle misure di prevenzione e di contenimento e le persone in grande maggioranza hanno accettato di seguire le regole, al di là di episodi che mostrano scorrettezze, che finiscono sui giornali o in tv. Ad esempio, la Francia raccomanda la quarantena ma non ha inteso renderla obbligatoria. Per questo ne hanno ridotto la durata da quattordici a sette giorni, sperando che con la forma breve la quarantena sia seguita, tuttavia resta una scelta e non un obbligo. Mentre in Italia c'è l'obbligo di quarantena, ed è stato rispettato. La differenza nei numeri dei contagi si vede. Ora la si ridurrà a dieci giorni, che sono un tempo sufficiente se seguito da un tampone di controllo. L'Italia è stata e resta un modello nel mondo di serietà istituzionale e di disciplina della popolazione».

In Campania però siamo passati in due mesi da una situazione di Covid-free a una che ci vede primi per contagi. Cosa abbiamo sbagliato?
«La Campania è la regione più densamente popolata d'Italia.

E ha una conurbazione che rende difficile isolare i focolai. Perciò il presidente De Luca ha fatto un'operazione straordinaria, introducendo per primo sanzioni che poi sono state allargate altrove e comunicando continuamente con la popolazione, cosa fondamentale. Allargando il discorso, il regionalismo si è rivelato un vantaggio competitivo per l'Italia rispetto a modelli centralisti».

La babele di regole però induce in confusione...
«La sensazione può essere quella e del resto piangersi addosso in Italia è uno sport diffuso, tuttavia ciascuna Regione è spinta a prendere misure appropriate in relazione al contesto; se il Veneto segue una strada e la Campania un'altra non è per sciatteria ma perché dopo un'analisi approfondita e anche un confronto con lo Stato centrale ciascuno ha valutato quali sono gli obiettivi e le azioni più rilevanti per il territorio».

Non si fanno pochi tamponi, però?
«Anche qui non sono d'accordo. Non credo si debbano aumentare i tamponi, quel che deve migliorare è la capacità di tracciare i contatti, introducendo delle regole molto più pervasive di quelle attuali. È questa la chiave di volta: vanno identificate rapidamente le persone che sono venute a contatto con un soggetto positivo e poi, ovviamente, a quel punto effettuare i test».

L'App Immuni è il vero flop delle strategie di tracciamento...
«Qui dove lavoro, in Svizzera, c'è un'App simile a Immuni ma molto più attrattiva per l'utente. Credo che in Italia abbiano pesato regole cogenti per la privacy. Però negli ultimi giorni c'è una spinta a scaricare Immuni che mi auguro faccia recuperare il tempo perduto, perché la App è valida, protetta e fondamentale per lo scopo per cui è stata disegnata».

Sul vaccino si aspetta una svolta già entro l'anno?
«Sì. Abbiamo una trentina di candidati vaccini, alcuni più tradizionali, altri molto innovativi. Due aziende produttrici hanno iniziato il percorso di richiesta della registrazione alle autorità regolatorie, ciò vuol dire che hanno risultati concreti anche se non ne conosciamo i dettagli».

Nel film del 2015 Contagious, per molti aspetti premonitore, i disordini scoppiano proprio con l'arrivo del vaccino, per ragioni di priorità.
«Come Organizzazione mondiale della sanità abbiamo dato indicazione con il Covax, una strategia che mi auguro seguano tutti. Bisogna collaborare e condividere forze e risorse per poter vaccinare due miliardi di persone entro il 2021, ed è ovvio che all'inizio per quanto la produzione possa essere intensa non ci saranno dosi per tutti».

Quali criteri bisognerà seguire?
«La priorità è vaccinare gli operatori sanitari in tutti i paesi del mondo. Poi le persone più fragili e vulnerabili per ragioni anagrafiche o perché affette da patologie cronico-degenerative».

I politici vorranno una corsia preferenziale per il ruolo delicato che ricoprono...
«Eh! alcuni di loro si sono ammalati, in effetti... Mettiamola così: se hanno delle fragilità, come l'età, è giusto che ricevano un trattamento preferenziale; ma in quanto cittadini, non come politici».

Diverse persone che hanno contratto il Covid-19, poi si sono riammalate. Questa non è la prova che il vaccino non garantisce l'immunità?
«È ancora tutto da vedere. Comunque anche se non c'è una copertura assoluta è in ogni caso una protezione. Accade anche per il vaccino anti-influenzale».

Quale probabilità c'è che nel frattempo che si testa il vaccino, il virus muti?
«I virus mutano continuamente, per il Sars-cov2 abbiamo decine di migliaia di sequenziamenti e possiamo dire che le caratteristiche essenziali genetiche del virus finora sono stabili soprattutto per la letalità, che resta elevata, mentre ci sono alcune varianti un po' più contagiose».

Perché allora a ottobre si muore meno rispetto a marzo?
«Intercettiamo prima i soggetti positivi, gli ospedali utilizzano terapie più efficaci soprattutto per frenare le reazioni infiammatorie e le persone fragili hanno imparato a proteggersi. Ma la letalità non si è ridotta. Ripeto: siamo di fronte a un pericolo reale».

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