La lotta al coronavirus, se i medici di famiglia dicono sempre no

La lotta al coronavirus, se i medici di famiglia dicono sempre no
di Lorenzo Calò
Giovedì 18 Marzo 2021, 08:56 - Ultimo agg. 14:52
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L'emergenza Covid ha messo a dura prova il sistema dell'assistenza sanitaria territoriale: dalle visite a domicilio da garantire ai pazienti contagiati, ai tamponi da praticare negli studi fino al nodo vaccinazioni, i medici di famiglia sono stati tirati a destra e a manca passando nel giro di pochi mesi da eroi a sabotatori. Forti di una ramificata consistenza numerica (44mila in tutta Italia) ma divisi in varie rappresentanze sindacali, i medici di medicina generale sono stati ieri convocati dal commissario per l'emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo.

«L'obiettivo del governo è quello di arrivare a praticare 500mila vaccinazioni al giorno - spiega Silvestro Scotti, leader nazionale della categoria, presente all'incontro - Noi siamo disponibili e coscienti della delicatezza del nostro ruolo.

Ma dobbiamo chiarirci: le persone bisogna vaccinarle, in qualche caso la questione sembra essersi bloccata solo sul tema della registrazione». A fare da sfondo il caos venutosi a creare in Campania dove la piattaforma regionale è andata in tilt e il software richiede l'inserimento di anamnesi molto dettagliate, motivo per il quale occorrono in media dai 20 ai 30 minuti per la registrazione di un solo paziente. Altro aspetto - per altro non chiarito - riguarda la tipizzazione dei cosiddetti assistiti fragili e il loro stesso coefficiente di fragilità.

«La confusione e il caos sono generati dalla sbagliata comunicazione resa dalla Regione Campania che prima sigla un accordo e poi lo pubblicizza in maniera diversa. Questo è assolutamente imbarazzante, e sta portando i medici a scoppiare», sbotta Luigi Sparano della Fimmg. L'impasse si scioglierà, forse, lunedì in un incontro con l'unità di crisi a Napoli. Eppure, almeno in Campania, non sono bastate quattro riunioni (1,8,9 e 15 marzo) per conferire piena attuazione a un protocollo nazionale siglato il 21 febbraio scorso è già abbondantemente recepito in Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Puglia, Umbria, Emilia Romagna e Veneto dove già da due settimane i medici di famiglia eseguono regolarmente le vaccinazioni anti-Covid ai loro assistiti. Per la Campania l'intesa prevede per i medici una indennità di 6,16 euro per la prima dose e 3,08 euro per la seconda oltre a 2,74 euro per oneri organizzativi in caso di vaccinazione praticata nello studio o in un centro vaccinale; per le prestazioni domiciliari un ulteriore compenso di 6 euro (laddove il Veneto si è dimostrato più generoso stanziando 27 milioni e riconoscendo a ogni medico circa 25 euro). Per i camici bianchi che non intendono vaccinare resta l'obbligo della registrazione dei pazienti fragili ricompensata con 2,74 euro.

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Solo qualche mese fa le polemiche sul coinvolgimento della medicina di base nei processi assistenziali dovuti all'emergenza Covid aveva riguardato l'effettuazione dei tamponi. Solo a ottobre Regioni, governo e medicina di base trovarono l'intesa: 12 euro per ogni tampone effettuato all'esterno dello studio, 18 euro se eseguito in studio. Parliamo dei tamponi rapidi transgenici: per questa operazione il governo ha messo sul piatto 30 milioni nel «decreto ristori» fino a dicembre 2020 e in Finanziaria 2021 altri 70 milioni. Ma anche su questo punto la pattuglia dei medici di base è riuscita a spaccarsi: a dire sì all'intesa sono state la Fimmg (che rappresenta circa il 63% della categoria) e la Cisl mentre Cgil, Smi, Snami, Fismu, Sigm e Aim si sono opposte, segno evidente di una eccessiva sindacalizzazione del comparto. Oggi però molte Regioni, schiacciate dall'emergenza vaccini, non stanno più rifornendo i medici di base dei kit per i tamponi. Domanda: dove sono finiti i fondi previsti dalla manovra di bilancio?


Su questo tema addirittura è stata necessaria una decisione del Consiglio di Stato. Il medico di base è tenuto o no a visitare il paziente a casa malato di Covid? Il Tar in primo grado aveva accolto un ricorso dello Smi ritenendo fondata la tesi dei ricorrenti: nel prevedere che le Regioni istituiscono unità speciali per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero (le Usca), il medico di medicina generale non deve recarsi a casa del paziente per non essere «distolto» dalle sue mansioni ordinarie. Passa qualche settimana e a dicembre scorso i giudici di Palazzo Spada ribaltano la sentenza stabilendo che «vietare le domiciliari ai pazienti Covid è un grave errore esegetico, suscettibile di depotenziare la risposta del sistema sanitario alla pandemia e di provocare ulteriore e intollerabile disagio ai pazienti».

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