Esami di avvocato, i consigli
di riforma della scuola forense

Esami di avvocato, i consigli di riforma della scuola forense
di Sergio Longhi*
Sabato 5 Settembre 2020, 13:14
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Ogni anno, in occasione della pubblicazione degli esiti delle prove scritte degli esami di avvocato, si ripropone a livello nazionale – e, in particolare, in un Foro numeroso come quello napoletano – il tema della riforma dell’accesso alla professione forense.

Non vi è dubbioche i meccanismi di ingresso alle funzioni di avvocato rivelino criticità e necessitino di una revisione.
Il tessuto socio-economico del territorio ha dimostrato di non sopportare il peso di un numero così cospicuo di legali e il tanto invocato mercato, tanto più in situazioni di crisi come quelle che ci troviamo a vivere da almeno un decennio, ha operato una selezione severa dei professionisti in campo, condannando i meno fortunati a condizioni di disagio ben lontane dal prestigio di cui un tempo godeva la categoria.

Un fattore decisivo che potrebbe consentire una drastica riduzione del numero degli aspiranti avvocati a tutto vantaggio della collettività può essere individuato nel potenziamento dell’effettività della pratica forense, ovvero nell’obbligare quanti vogliano conseguire il titolo a frequentare quotidianamente gli studi professionali e le aule di giustizia.

Sarebbe opportuno, poi, abolire la spendibilità del titolo in ambiti diversi dall’esercizio della professione forense. Non ha alcun senso attribuire al conseguimento di un titolo che assolve ad una funzione giuridica ben precisa nell’ambito dell’ordinamento una finalità diversa da far valere, ad esempio, nelle progressioni di carriera all’interno delle pubbliche amministrazioni.

Solo in questo modo si potrà contare su una categoria di qualità, composta esclusivamente da elementi motivati e votati a svolgere la professione forense, migliorando di conseguenza il funzionamento stesso dell’esame di abilitazione annuale. Quanto, invece, alla proposta di istituire una laurea in giurisprudenza direttamente abilitante all’esercizio della professione, che di tanto in tanto riaffiora nel dibattito, devo evidenziare la mia assoluta contrarietà per le seguenti ragioni.

In primo luogo, la complessità delle funzioni richieste all’avvocato a tutela del cittadino reclama, oggi più di ieri, un’elevata specializzazione che non potrà mai essere assolta dal semplice completamento di un corso di laurea, essendo richiesto piuttosto un maggiore approfondimento teorico-pratico di specifiche branche del diritto, di cui le nostre università risultano ad oggi quasi del tutto carenti.

In secondo luogo, l’istituzione di una laurea abilitante equivarrebbe a riconoscere alla professione di avvocato un rango inferiore rispetto alle altre professioni forensi (magistrato, notaio, ecc.), che non trova rispondenza in alcuna norma del nostro ordinamento, il che, come è facile immaginare, è assolutamente inaccettabile sul piano giuridico prima ancora che politico.

Infine, si ricorda che la disciplina di legge già prevede l’obbligatorietà della frequenza delle scuole forensi da parte dei praticanti ai fini della partecipazione all’esame di abilitazione e solo l’emergenza sanitaria in corso ha fatto sì che fosse prorogata l’effettiva entrata in vigore della normativa.

Confidiamo che, con l’impegno dell’Ordine di Napoli e della sua Scuola, su cui tanto puntano il presidente Tafuri e il Consiglio, si potrà registrare una positiva inversione di tendenza già dai prossimi anni. 
 
* avvocato, segretario Fondazione per l’alta formazione forense dell’Ordine avvocati di Napoli
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