Manfredi ministro dell'Università: «Più fondi agli atenei del Sud e stop alla fuga dei cervelli»

Manfredi ministro dell'Università: «Più fondi agli atenei del Sud e stop alla fuga dei cervelli»
di Mariagiovanna Capone
Domenica 29 Dicembre 2019, 10:00 - Ultimo agg. 20:10
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Appena dieci giorni fa Gaetano Manfredi esprimeva sul «Mattino» tutto il suo disappunto sui mancati stanziamenti per università e ricerca ottenuti dall'ex ministro Lorenzo Fioramonti. Come rettore dell'Università Federico II e presidente della Crui conosceva bene le necessità di un settore che ha tirato la cinghia per almeno vent'anni, e quel miliardo in meno rispetto alle richieste dell'ex ministro erano parse immediatamente un flagello per i giovani ricercatori, invogliati così a lasciare il Paese, ma soprattutto una mancanza di attenzione verso un campo in grado di creare sviluppo ed economia per l'intero Paese. Da ieri mattina quel ruolo è diventato suo. Nei prossimi giorni Manfredi giurerà come ministro dell'Università e la Ricerca del governo Conte bis.
 


Come troverà quel miliardo necessario per Università e Ricerca che a Fioramonti invece non è stato assegnato?
«Lavorando, con il presidente del consiglio Conte e con il governo tutto. Il sistema universitario e della ricerca scientifica italiano ha bisogno di maggiori fondi, questa è una certezza. Credo che sia necessario quindi mettersi a lavorare per raggiungere questo obiettivo tutti insieme, individuando le priorità, quello che si può fare subito e quello che dovremmo fare più in là, attraverso cioè la pianificazione di un piano pluriennale. Però offrendo delle certezze che consentano a Università ed Enti di ricerca di poter fare loro stessi una corretta programmazione».

Quale sarà la sua priorità?
«I giovani ricercatori. Credo molto in loro e nel loro ruolo all'interno delle Università, ci ho sempre creduto anche da rettore e sono convinto che gli si debba dare più spazio. Il mio primo impegno da ministro sarà quello di fare in modo che il governo possa realizzare subito iniziative concrete per i giovani ricercatori. Ne servono almeno 10mila. Dobbiamo evitare che vadano via dall'Italia».

Soprattutto se consideriamo che gran parte della ricerca è in mano a questi giovani che sono precari.
«Il tema del precariato andrebbe un attimo compreso meglio. In qualsiasi università del mondo un giovane che si avvia a una carriera nella ricerca sa che i primi tempi saranno contratti a tempo determinato, quindi una condizione di precariato. Ma altrove si accompagnano questi periodi a opportunità concrete, certe, che consentano alle persone meritevoli di ottenere una posizione definitiva. L'obiettivo importante cui dobbiamo puntare in Italia è quindi questo: riuscire a dare anche noi questa opportunità in maniera continuativa, affinché il sistema ricerca sia sano e non precario».

Che tipo di ministro sarà?
«Cercherò di fare il massimo possibile, partendo però da una considerazione che ritengo molto importante: che se mettiamo al centro la qualità delle persone non possiamo mai sbagliare. Per questo motivo farò esattamente quello che è stato offerto a me tanti anni fa cioè dare opportunità ai giovani. Insisto su questo punto perché per me studenti e giovani ricercatori sono sempre stati una priorità. Riguardando me agli inizi della carriera universitaria, dovrei ringraziare tantissime persone per l'uomo che sono diventato oggi. Ognuno di noi è frutto della propria storia, e nel mio caso sono i professori e tutte le persone con cui ho collaborato che mi hanno offerto la possibilità di esprimermi e fare esperienza. Ognuno di noi è frutto delle opportunità che ha avuto, per questo comprendo l'importanza di offrire opportunità ai giovani oggi».

Nel concreto potrebbe spiegare cosa farà?
«Insieme con il premier Conte faremo partire una campagna di ascolto nel mondo delle Università e negli enti di ricerca. Vogliamo comprendere bisogni, sensibilità, richieste, tastare il polso a un mondo vario e difforme. Il primo passo quindi sarà fatto verso gli studenti, perché rappresentano il futuro, come cittadini, ricercatori, lavoratori. Bisogna investire sui giovani ed è necessario un grande investimento su di loro. Partire da loro ha un significato profondo per questo governo e con il presidente del Consiglio pianificheremo il dove e quando».

Il governo ha istituito l'Agenzia per la ricerca: cosa ne pensa?
«L'Agenzia è appena nata, adesso bisognerà attuarla. Credo che la volontà del governo sia di fare in modo che essa aiuti nel coordinamento della ricerca e aumenti il finanziamento alla ricerca. Come sarà fatto sarà azione politica da attuare nei prossimi mesi, e questo andrà fatto ascoltando tutte le persone coinvolte, i ricercatori cioè, e trovando soluzione migliore nell'interesse della ricerca, appunto».

L'ex ministro Fioramonti ha cambiato le linee guida sulla valutazione della qualità della ricerca, penalizzando le università del Sud e la Federico II. Come affronterà quindi la questione con l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca?
«La valutazione della qualità credo sia un valore, ma credo sia anche abbastanza chiaro che bisognerà discutere meglio delle modalità con cui questa avviene. Le modalità quindi saranno gli argomenti che affronterò nel rapporto con Anvur considerando che adesso ci avviciniamo al nuovo esercizio di valutazione con le linee guida già emanate da Fioramonti. Tuttavia non credo che l'Università Federico II così come quelle del Mezzogiorno debbano sentirsi penalizzate o bocciate dall'Anvur poiché la qualità di alto livello della ricerca che portano avanti non si discute. Non dobbiamo guardare alla valutazione come una bocciatura, ma rappresenta uno strumento per aiutare a governare l'Università e quello deve essere. L'Anvur non emette pagelle».

Le Università del Sud però sembrano sempre le Cenerentola, quelle più penalizzate e con meno fondi.
«L'Università del Mezzogiorno ha una grande qualità e rappresenta una grande opportunità per l'intero Paese. In un piano integrato che guarda al Mezzogiorno, l'Università deve avere una grande importanza, un ruolo importante. Solo dalla conoscenza di ha crescita economica, aumenta la coesione sociale. Quando si ragiona di Mezzogiorno bisogna sempre ragionare di scuola e università».

Cosa ha provato ricevendo la telefonata del presidente Conte?
«Ricorderò questa mattina per tutta la vita. Confesso, ero emozionato, perché davvero non me l'aspettavo. Sono grato a Conte. È chiaro che non me l'aspettavo».

Eppure il suo nome era stato fatto anche mesi fa, prima che prendesse il sopravvento quello di Fioramonti.
«Erano voci.
I nomi circolano sempre, in quella occasione non ci fu nessuna telefonata del presidente Conte ma quello che conta è la stima. E quella c'era e c'è». 

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