Maria Cristina Messa, ministro dell'Università: «Ricerca sui vaccini, Italia partita in ritardo»

Maria Cristina Messa, ministro dell'Università: «Ricerca sui vaccini, Italia partita in ritardo»
di Nando Santonastaso
Mercoledì 15 Settembre 2021, 12:00 - Ultimo agg. 16 Settembre, 07:05
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Ministro Messa, in una lettera al Mattino una giovane ingegnera ha raccontato amareggiata di frequentare un tirocinio formativo a un anno dalla laurea per 2 euro all'ora, senza sentirsi nemmeno formata veramente. Non è un caso isolato, come tanti praticanti avvocati o giovani architetti denunciano sui social. Non le pare che sui tirocini si debba intervenire?
«Quello che avete sollevato è un tema che va ben oltre ai tirocini risponde Maria Cristina Messa, ministro dell'Università e della Ricerca -. È una questione che riguarda l'intera società e che parte dal rispondere in modo onesto a una domanda: quanto vale l'alta formazione in Italia? Se non risolviamo questo nodo che, però, deve vedere in prima linea il mondo dell'offerta di lavoro, temo resteremo sempre in un circolo vizioso. È un nodo che dobbiamo risolvere ora. Grazie al Pnrr avremo investimenti per aumentare il numero dei laureati e dei dottorati, per formare nuove competenze che dovranno guidare il Paese nel futuro tecnologico, digitale, della transizione ecologica: ma se queste competenze continueranno ad avere retribuzioni inadeguate continueremo a parlare di cervelli in fuga. E non ce lo possiamo permettere».

Intanto fa discutere il fatto che la produzione di vaccini anti-Covid in Italia è stata interrotta a differenza di quanto avviene negli altri Paesi produttori. Perché è successo?
«In parte, inutile nasconderlo, anche in questa occasione abbiamo pagato una certa latenza in alcuni aspetti decisionali di governo.

Va però detto che per una corsa di questa portata non basta l'esperienza di ricerca italiana o di piccoli gruppi come quelli che caratterizzano il nostro territorio. Abbiamo visto le esperienze negli altri Paesi, dove c'è stata una scommessa molto forte: le grandi imprese si sono messe a produrre il vaccino prima ancora non solo di essere autorizzate, ma addirittura di sapere se avrebbe funzionato. Quando parliamo di volumi con una portata mondiale, non credo che l'Italia avrebbe mai potuto affrontare da sola questa sfida. Altro conto è ragionare a livello europeo, e su questo, in realtà, le basi ci sono state e ci sono».

Ma non crede che il rapporto tra ricerca pubblica e imprese debba essere rivisto sulla base dei nuovi bisogni emersi con la pandemia?
«Credo assolutamente che il rapporto tra pubblico e privato, anche nel settore della ricerca, debba essere rivisto, se vogliamo utilizzare gli investimenti europei e i fondi nazionali con un impatto rapido e consistente sulla vita delle persone, sul loro lavoro, sul loro quotidiano, sul benessere in senso lato. Dobbiamo cambiare marcia e abbandonare alcuni vecchi pregiudizi, ma dobbiamo farlo insieme come sistema-Paese, perché semplificare non è qualcosa che può fare da solo un ministero o un piccolo gruppo di persone. Il cambio di passo porta dentro di sé sia aspetti culturali sia aspetti normativi, di regole e procedure che ci siamo imposti nel corso del tempo e che ora dobbiamo avere il coraggio di indirizzare su una nuova linea».

Napoli con l'iniziativa di Dompé e di Materias, cui lei interverrà, si candida ancora una volta a diventare un punto di forza per la ricerca in Italia. Ma cosa manca ancora perché questa diventi una priorità capace di coinvolgere gran parte del Mezzogiorno?
«Napoli è un territorio molto fertile per lo sviluppo di idee e per importanti progetti di ricerca che proprio qui hanno visto la luce. Per avanzare ulteriormente bisogna lavorare di più sulla creazione di reti, serve fare massa critica e puntare su un posizionamento sempre più internazionale. E poi serve riuscire ad attrarre maggiore capitale umano ed economico, attività cui deve collaborare l'intero territorio».

Il Pnrr cambierà anche l'attenzione del Paese verso la ricerca incoraggiando ad esempio i giovani a studiare gli ambiti Stem o c'è il rischio che la mentalità assistenzialista, soprattutto al Sud, prenda ancora una volta il sopravvento sulle migliori intenzioni?
«Credo che la pandemia abbia restituito un clima e un'aspettativa diversa nei confronti della ricerca. Il ruolo sociale della scienza è diventato più chiaro ed evidente a tutti, e credo si stia recuperando almeno in parte la fiducia lasciata sul terreno negli anni. Tutto questo ora non va sprecato. Gli investimenti devono essere guidati da scelte volte a coinvolgere di più giovani, donne in particolare, e dare forza alle competenze più richieste dal Paese, fra cui quelle STEM hanno sicuramente rilevanza, particolarmente nel Mezzogiorno».

Ci sono però ancora pochi laureati in Italia rispetto alla media europea, eppure le università non mancano. Dove si sbaglia?
«Si sbaglia nell'orientamento all'università, nel non dare peso a tanti elementi quali l'importanza dell'interdisciplinarietà e del welfare studentesco. Infine pesa l'idea diffusa, anche se infondata, di un'università che non serve al mondo del lavoro».

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