Il Pm del Papa al cardinale Becciu: «Lei ha fatto porcherie». Domani la richiesta delle condanne

Il Pm del Papa al cardinale Becciu: «Lei ha fatto porcherie». Domani la richiesta delle condanne
Martedì 25 Luglio 2023, 20:49 - Ultimo agg. 26 Luglio, 08:29
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Il processo in Vaticano per lo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo di Londra è arrivato alla richiesta delle condanne per i dieci imputati da parte dell'Ufficio del Promotore di giustizia. Il pm Alessandro Diddi domani mattina formalizzerà le richieste di condanna e tra loro c'è il cardinale Angelo Becciu al quale oggi in aula ha rivolto parole durissime. «Lei ha fatto una porcheria».

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In particolare, la requisitoria del pm si è concentrata su due filoni dell'inchiesta. Quello che riguarda l'ingaggio, da parte della Segreteria di Stato, di Cecilia Marogna, che si è sempre «autodefinita analista geopolitica» e che sosteneva di collaborare alla liberazione di alcuni ostaggi, tra cui quello di suor Cecilia Narvaez, la suora colombiana rapita in Mali nel 2017. E i fondi alla Spes del fratello del cardinale, Antonino Becciu. La Marogna, secondo l'accusa, avrebbe speso per sé denaro da lei destinato dalla Segreteria di Stato per concludere le operazioni di liberazione della suora. 

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Diddi, riferendosi in particolare ad un incontro che Becciu ebbe con la Marogna «in un luogo appartato il 12 febbraio 2021» ha detto di non «fare allusioni» nei confronti del porporato «sul piano del suo vincolo sacerdotale, ma alludendo a dinamiche processuali» che per il pm portano a ritenere che «il cardinale manteneva la Marogna: scusate la franchezza, ma questo è. È Becciu che cerca di appiccicare la Marogna alla liberazione della suora ma è solo il tentativo di dare una giustificazione dell'utilizzo dei soldi della segreteria di Stato».

Il Promotore di giustizia aveva sottolineato che il Papa, a giugno 2020, «ha capito perfettamente la portata della porcheria da parte del cardinale. Il tentativo di truffare il Papa gli è andato male».

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A Becciu attribuisce poi avere fatto “porcherie” e di avere delegittimato il tribunale affermando nelle chat che i pm erano «puzzolenti e porci», di avere orchestrato roboanti campagne stampa per denigrare i magistrati. «Non c'è stato mai un atto di resipiscenza da parte del cardinale su questi giudizi». Poi ha ricordato come Becciu abbia «usato questa strategia della demolizione contro tutti quelli che hanno osato mettersi contro di lui: sono stati tutti denunciati, come ad esempio L'Espresso e lo stesso monsignor Alberto Perlasca», verso cui è accusato anche di subornazione di testimone. 

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Sulla cooperativa sarda Spes gestita dal fratello Antonino, ha definito provati i capi d'imputazione. Per quanto riguarda la Marogna, Diddi ha sostenuto che la donna era stata accreditata in Segreteria di Stato come «analista geopolitica» senza averne alcun titolo, grazie solo all'amicizia con Becciu. «Non aveva nessun tipo di credibilità, lo dicono anche i Servizi, ma questo è il titolo che le è stato attribuito». «Una vicenda patetica, un'autentica patacca», l'ha definita. E per quanto riguarda i 575 mila euro versati alla donna dai conti Ior della Segreteria di Stato, finiti in spese personali e voluttuarie, persino soggiorni in lussuosi resort («erano soldi che dovevano destinati alla carità - ha detto - e inviati alla donna per finalità umanitarie»)

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«Un tentativo malriuscito di dare copertura a un'operazione di distrazione di fondi della Segreteria di Stato - ha aggiunto - e che a quest'ultima ha dato anche disdoro». Sul caso Spes e sui 225 mila euro inviati dalla Segreteria di Stato sul conto 'promiscuo della Caritas di Ozieri - anche qui l'accusa è «peculato per distrazione» - è stato ricordato tra l'altro che quel conto, che non sarebbe mai stato autorizzato dal vescovo dell'epoca Sergio Pintor, fu creato con una delega del direttore della Caritas di Ozieri don Mario Curzu, cugino del cardinale, ma su cui risulta una firma falsa, e che persino l'economo della diocesi, interrogato dalla Guardia di Finanza di Oristano su mandato della procura di Sassari, non ne conosceva l'esistenza. In sintesi, Diddi ha sostenuto che non era la Spes in «braccio operativo» della diocesi di Ozieri, ma piuttosto la stessa diocesi «una propagazione» della Spes, poiché era lo stesso Becciu, «anche da lontano, a gestire la sua diocesi». 

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«La diocesi non era più autonoma - ha ribadito - ma si doveva muovere in funzione degli interessi della cooperativa». Dal conto risultano tra l'altro almeno un prestito a favore di una familiare del cardinale, come pure l'uso della carta di credito per acquisti. In ogni caso, secondo il promotore di giustizia, «la confessione del reato l'ha fatta il cardinale Becciu con la sua intervista del 24 settembre 2020: lui dice che quei soldi li ha erogati su disposizione del Santo Padre. Cosa che il Papa nega». Ed è per questa ragione che lo privò delle prerogative dal cardinalato e della carica di prefetto per le Cause dei santi.

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Al termine della requisitoria, è arrivata la replica del cardinale Angelo Becciu che oggi non era presente in Aula come non lo erano nemmeno gli altri imputati. «Sono addolorato dalle parole del promotore di giustizia. La mia ricostruzione dei fatti documentata e puntuale in aula ha dimostrato che ho sempre lavorato per il bene della Chiesa e per essa ho speso la mia vita. Sono innocente e non mi stancherò di ripeterlo - dice - Sono innocente non soltanto perché non ho mai rubato un soldo né mi sono arricchito né ho arricchito i miei familiari. Le approfondite verifiche degli inquirenti sui nostri conti bancari lo hanno dimostrato. Queste sono alcune delle ragioni per le quali mantengo ferma la fiducia nell'imparziale giudizio del Tribunale, che si tratti delle vicende relative al palazzo di Londra o alle ragioni umanitarie che hanno spinto a esperire tutti i tentativi possibili per salvare la vita di una suora missionaria o, ancora, al sostegno legittimo alle iniziative caritatevoli della diocesi di Ozieri che ha la sola colpa di essere legata alle mie origini e di una cooperativa che lavora con la Caritas presieduta da una persona che ha la sola colpa di essere uno dei miei fratelli». 

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