Riciclaggio, dai bitcoin ai Gratta e Vinci: così i clan a Roma ripuliscono i soldi

Dalle inchieste affiorano nuove frontiere di riciclaggio del denaro frutto del crimine. Spicca il ricorso ai “cambisti” cinesi capaci di spedire grandi quantità di contanti

Riciclaggio, dai bitcoin ai Gratta e Vinci: così i clan a Roma ripuliscono i soldi
Riciclaggio, dai bitcoin ai Gratta e Vinci: così i clan a Roma ripuliscono i soldi
di Valeria Di Corrado e Alessia Marani
Venerdì 9 Febbraio 2024, 00:45
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Cambiano le dinamiche e si aprono nuove frontiere del riciclaggio. Da “bravi” imprenditori del crimine, i clan cercano i professionisti migliori, in alcuni casi li formano in famiglia mandandoli a studiare nelle scuole più blasonate. Insomma, se le segnalazioni dei movimenti bancari sospetti evidenziate dalla Banca d’Italia nell’ultimo anno sono in calo significa solo che il flusso di denaro guadagnato illegalmente percorre canali monetari intricati e clandestini. I gruppi criminali hanno «sempre più sofisticate esigenze di riciclaggio e non possono prescindere dalla collaborazione con soggetti compiacenti dell’imprenditoria operanti su territorio», si legge nella relazione della Direzione investigativa antimafia. 

I cinesi

In primis ci sono i servizi offerti dai “cambisti” cinesi, vere e proprie banche con “filiali” in mezzo mondo.

I “pick-up money” principali, si trovano nella Capitale stando alle indagini del Ros dei carabinieri e della Guardia di Finanza. Seguendo le tracce dei narcoproventi incassati dalle più importanti ‘ndrine dell’area jonica, i militari sono arrivati prima ad anonimi capannoni lungo la Casilina, la Tiburtina e la Prenestina, fino a giungere nel cuore della città nei negozi-copertura dell’Esquilino. Sebastiano Mammoliti, di San Luca nella Locride, intercettato, spiegava: «Per mandare i soldi di là, cioè Brazil Ecuador, loro tengono la percentuale. Si usano i change money... i cinesi fanno questi lavori». Solo pochi giorni fa la polizia ha fermato a San Lorenzo, in auto, una coppia di cinesi che aveva 61mila euro in una borsa. Denaro di cui non hanno saputo spiegare l’origine.

Le ‘ndrine

Dirette nella Capitale, insieme alle staffette del narcotraffico che portano lo stupefacente approdato nei porti del Mediterraneo, partono ogni giorno i “corrieri” dei soldi da ripulire. Ma come riconoscere il cambista? Come in ogni banca che si rispetti viene fornito al cliente un “token”, ossia un codice solitamente ricavato dalla foto del numero di serie di una banconota che il cassiere a cui consegnare il denaro dovrà mostrare. L’indagine “Propaggine” della Dia di Roma, che ha visto l’esecuzione di 105 provvedimenti cautelari e il sequestro di 24 società facenti capo al sodalizio per un valore di circa 100 milioni di euro, ha permesso di ricostruire il “sistema Alvaro”, la cui mente era il boss Vincenzo, calabrese ma romano di adozione. Una volta acquisite le società, la “locale” romana si impossessava anche degli immobili, versando, all’atto dell’acquisto un anticipo spesso insignificante diluendolo poi in centinaia di rate, garantite da cambiali che erano in realtà pagate in contanti. Non solo. Il sodalizio ricorreva a operazioni di ricarica di carte poste pay (fittiziamente intestate a terzi) effettuate presso i terminali delle tabaccherie sotto il loro controllo, utilizzando lo scoperto garantito da Sisal e che successivamente veniva reintegrato con versamenti contanti. Sempre tramite la tabaccheria vanno a caccia di Gratta&Vinci che, all’occorrenza, diventano giustificativo dei contanti in possesso.
Il “sistema Alvaro”, sempre più affinato, dal settore della ristorazione si era esteso a quello ittico, a quello della panificazione, della pasticceria, dei parrucchieri, delle sale biliardo, del ritiro delle pelli e degli olii esausti. E piaceva talmente tanto che venivano fornite “consulenze” anche ai clan autoctoni dei Fasciani, dei Varsi e dei Moccia. A capire quanto giova infiltrarsi e diversificare i metodi anche la camorra: a marzo del 2022, sempre carabinieri e Finanza portano a dama l’operazione “Nuovo cinema criminale”. Gli arrestati riciclavano «i proventi illeciti del clan D’Amico-Mazzarella mediante le produzioni di un’azienda cinematografica» e per queste attività «gli indagati avrebbero fatto anche affidamento sulla collaborazione di un’azienda vitivinicola che avrebbe “girato” alla società di produzione le ingenti somme ricevute dal sodalizio a titolo di sponsorizzazione di opere cinematografiche».

Gli albanesi

La Camera di Commercio ha registrato inoltre una sfilza di passaggi di proprietà di attività da italiani ad albanesi a Campo de’ Fiori. Intanto, chi ha già regolato i conti con la giustizia è volato negli Emirati. A Dubai sono finiti narcos albanesi, epigoni della “Batteria di Ponte Milvio” che a Roma hanno fatto la loro fortuna, ma anche il carcere. Nel crocevia tra i continenti, si mantengono rapporti e si intessono affari: investimenti nelle monete virtuali, bitcoin, in cantieri navali e in oro. Ma a chi resta a Roma piace la bella vita: i Rolex continuano a essere l’investimento prediletto. Prima di essere ucciso al Parco degli Acquedotti, Fabrizio Piscitelli aveva un appuntamento per un credito di 300mila euro in parte soldato con un orologio. E quando il video della sua furibonda lite con un automobilista in doppia fila fece il giro del web, il Diablo era di fronte alla sua oreficeria preferita all’Esquilino.

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